Prologo

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Il centro città era più buio del solito, quella notte.
Le nuvole coloravano di grigio spento un cielo che non avrebbe potuto essere più nero. La luna, nascosta dietro esse, non riusciva a riflettersi sulle acque del porto. L'unica luce era prodotta dai lampioni a olio, sporadiche fiamme tremolanti che creavano lunghe ombre per le strade.

Era il momento preferito di Danha. Appollaiata sulla cima della più alta guglia della cattedrale di Diefbourg, guardava le geometrie del luogo che le aveva tolto tutto e dal quale era comunque difficile allontanarsi.

Dopo un sospiro che sapeva di lacrime salate e di un'infanzia rubata, scivolò furtiva tra una scultura e l'altra, fissò per un istante un gargoyle poco amichevole e camminò in equilibrio fino a raggiungere il primo arco rampante. Si calò con prudenza, mentre pensava che sarebbe stato più semplice buttarsi, che avrebbe reso tutto più facile, che pochi avrebbero sentito la sua mancanza e che i mille pensieri intrusivi che le affollavano la mente avrebbero semplicemente taciuto.

Ma era una Briniel e i Briniel non si arrendevano facilmente, la paura riusciva a stento a scorrere nelle loro vene e, quando accadeva, erano comunque tanto astuti da non farla trasparire.

Così continuò a scendere con la stessa innocente cautela con cui aveva imparato a fare ogni cosa. Quando i suoi piedi toccarono la terra, il rumore che fecero, quel piccolo tonfo che normalmente sarebbe passato inosservato, sembrò un'esplosione nel bel mezzo del nulla e fece scappare spaventato un piccolo felide che aveva trovato rifugio ai piedi della lunga siepe intorno alla cattedrale.

«Scusa, piccola tigre», sussurrò.

Si guardò intorno. In quel buio era quasi impossibile incrociare gli occhi di qualche osservatore indiscreto, ma la prudenza non era mai troppa.

Si avvicinò al ponte contemplando il fiume che vi scorreva al di sotto, in direzione del porto, e posò lo sguardo sognante sulle barche attraccate, immaginando un futuro improbabile nel quale quell'infinito che si allungava dietro ad alberi e vele non sarebbe stato più così irraggiungibile.

Respirò profondamente quel profumo di iodio che era ormai diventato il suo personale profumo di libertà, rilassò le spalle, chiuse gli occhi e si prese un momento per non pensare assolutamente a niente, per credere con una convinzione viscerale che quello spicchio di mondo poteva ancora essere salvato, che c'era una speranza per tutti. Anche per lei.

La sua mente, tuttavia, ricominciò a fare rumore, un rumore sordo e fastidioso.
Un ascoltatore attento avrebbe potuto sentire gli ingranaggi che si mettevano in moto, a ritmo incessante. Troppi, per una giovane donna. Probabilmente, se non fosse stata così impegnata a sognare un posto migliore, un mondo migliore, avrebbe sentito dei passi avvicinarsi alla sua destra, cauti passi in equilibrio sulla sponda alla quale lei stessa era appoggiata.

Quando riaprì gli occhi, a dieci piedi da lei, una figura incappucciata era appollaiata sul parapetto del fiume, resa completamente buia dal leggero controluce proveniente dai lampioni, ma non del tutto invisibile alla vista di una ragazza abituata a vivere di notte. Il cappuccio dello sconosciuto si mosse quasi impercettibilmente verso destra, fissandola e analizzando ogni suo minimo movimento così come aveva fatto ogni notte nell'ultimo ciclo, come un'ombra invisibile.

Quando la vide immobilizzarsi e tendere con estrema lentezza la mano oltre la spalla a raggiungere l'arco, l'incappucciato sorrise e si alzò lentamente, restando in equilibrio sul parapetto.

Poi, senza girarsi, mise alla prova il suo piano alzando la mano in un saluto celato e si gettò all'indietro nelle fredde acque del fiume Zaan.

2

Diefbourg. La città di maschere e bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora