23J - Tutto bene, JB? Ti vedo teso

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«Idromassaggio, bella idea.»

Vengo bruscamente riportato alla realtà dalla voce profonda di Calista Spencer e quasi non soffoco con la mia stessa saliva quando mi rendo conto di ciò che ho davanti. Indossa un costume intero, nero, che le fascia il fisico sottile ma formoso alla perfezione.

Cazzo.

Ero venuto qui per cercare di non pensarci, per evitarmi una dolorosa erezione e adesso è tornata. Più dura di prima.

Non fiato mentre la vedo saggiare l'acqua con un piede. «Temperatura perfetta». Sospira.

Si immerge con lentezza ed eleganza, sfiorandomi le gambe con i piedi smaltati di rosso. Tiene i capelli sollevati in una crocchia disordinata, il viso privo di trucco. Ho visto poche donne risvegliarsi senza un filo di make-up, tutte artificiali e colme di aspettative. Calista non ne ha. Vive alla giornata, mi tormenta e ne va fiera.

«Tutto bene, JB? Ti vedo teso.» Sorride con fare innocente. Come se non mi avesse appena causato il rigonfiamento che ho tra le gambe. Vorrei scoparmela di brutto e toglierle quel sorrisetto angelico che ha dipinto sul viso. Piegarla sul bordo di questa vasca e prenderla da dietro, farla urlare e offrire un affiatato spettacolo ai vicini.

Ma non posso. Perché è un rischio fatto e finito.

E in ballo ci sono troppe cose.

Non finirebbe bene.

«Non sono teso, solo infastidito dalla tua irritante presenza.»

«Oh.» Si porta una mano sul petto. «Preferisci che me ne vada? Che ti conceda del tempo da solo?»

«Sì. Sarebbe perfetto» sibilo, fulminandola con uno sguardo.

Resta in silenzio per qualche istante, cosa che mi fa ben sperare. Forse sta per darmi ascolto.

«Che peccato, non mi va proprio di uscire adesso. Goditi il bagno, Jordie, fingi che non esista.»

«Magari potessi» bofonchio.

Lei non ribatte, chiude gli occhi e rilascia un sospiro rilassato. Proprio come se fossi io a non esistere.

«E gli apparecchi? Non rischi che si bagnino?» domando dopo qualche secondo. In effetti, ora che la vedo con il viso pericolosamente vicino all'acqua, ci faccio caso.

Calista apre gli occhi e punta le iridi color cioccolato su di me. Magari è solo una mia impressione o l'erezione che mi fa delirare ma sembra più vulnerabile. «Sono impermeabili, te l'ho detto. Non succederà niente. Ho imparato dai miei errori.»

Non dovrebbe fregarmene un accidente ed è così, ma mi serve una distrazione. Sono ancora duro, tutto pur di non pensarci. «Significa?»

Lei sembra trattenere il respiro per un attimo, poi sposta l'attenzione sulle dita dei piedi poco distanti dal mio braccio che sbucano dalla superficie ondeggiante dell'acqua. «Non conoscevo bene gli apparecchi acustici all'inizio, ho appreso le cose col tempo. Da piccola portavo quelli esterni, i retroauricolari, ed erano una bella rogna per una ragazzina invitata a delle feste in piscina. Se li toglievo, non ci sentivo. Se ci sentivo, non potevo fare il bagno. Hai mai visto dei ragazzini tra i dieci e gli undici anni stare attenti in una piscina? È irreale.» Accenna un piccolo sorriso sofferente.

Rimango in silenzio, in attesa che continui. Dopotutto, cosa posso dirle? Ammetto di essere stato veramente colto alla sprovvista quando mi ha mostrato gli apparecchi la prima volta. Non li avevo minimamente notati. È vero, avevo trovato particolare che la sua sveglia consistesse nella vibrazione dello smartwatch che porta al polso, ma la gente ha modi differenti di svegliarsi al mattino, non mi ha insospettito più di tanto. È un bene che viva una vita tranquilla, anche se, come l'ultima volta, deve essere brutto ritrovarsi in certe situazioni. Da quanto ne ho capito, nessuno sa della sua condizione, cosa che la porta a stare mille volte più attenta. Neanche questo mi stupisce: fino a poco più di un mese fa non sapevamo nemmeno che il coach avesse una figlia, figuriamoci apprendere della sua sordità.

«Così ho iniziato a evitare le feste in piscina e crescendo ho cambiato diversi apparecchi acustici, fino ad arrivare a questi. Sono parecchio costosi, ma mi rendono una persona normale e ne sono grata.»

«La tua sordità non ti rende una persona anormale, Calista» asserisco, diretto. Perché chiamarla "condizione", "disabilità", quando ha un nome ben preciso? «A differenza di altri, hai solo bisogno di qualche accorgimento in più. E anche se non fossero impermeabili, anche se fossero retroauricolari o come si dice, ciò non fa di te una diversa.»

Si stringe nelle spalle mentre torna a guardarmi. «Ma lo sono, Jordan. Non me ne vergogno, certo, però è una condizione che a volte mi causa dei disagi.»

«Non sto dicendo che non debba sentirti in diritto di essere a disagio, sto solo cercando di farti capire che non hai motivo di sentirti diversa perché non è un qualcosa che hai scelto tu. Sta tutto alle persone che ti circondano fartelo pesare o meno.»

«E a te? Voglio dire, se fossi davvero la tua fidanzata, ti peserebbe ammettere al mondo che sono sorda?»

So che questa è una domanda che non avrebbe voluto pormi davvero, lo vedo dal pentimento che le si dipinge negli occhi. Questo la rende ancora più vulnerabile. Ma a me non importa.

«No.» Scuoto il capo. «Non farebbe differenza che tu ci sentissi o meno, fintato che sei a posto con te stessa. Indipendentemente dalla gravità della disabilità, nessuno ha il diritto di dirti se sei fortunata o meno perché non sa cosa provi.»

Calista mi sorride, credo in maniera naturale per la primissima volta. «Saresti un fidanzato proprio perfetto, sai? Certo, un po' stronzo ma a noi donne piacciono.»

«Non farti strane idee» ribatto subito.

Lei sbuffa una risata e sposta lo sguardo altrove mentre stringe le braccia al petto. «Figuriamoci. Non condivido la mia vita con uno che non mangia pizza ogni sabato e che lascia la tavoletta dal wc alzata.»

Ecco, l'ordine è stato ristabilito. Ho parlato persino troppo stasera, mi sento sfiancato. Le lancio un'occhiataccia infastidita. «Non devi preparare la cena? Perché non ti avvii. È il tuo turno.» Le ricordo.

Calista apre gli occhi di scatto. «Accidenti. È vero!» Si alza, gocciolante, e si inclina verso il bordo per salire sulla piattaforma in legno. Ammiro ogni curva del fondoschiena formoso, pensando a quanto sarebbe delizioso sculacciarlo e morderlo. Ha la pelle candida, un solo schiaffo e diventerebbe più rossa di una fragola.

«Non guardarmi il culo, ho la cellulite!» esclama intenta a recuperare un telo. Più precisamente, l'unico disponibile: il mio.

«Quello mi serve.» Ignoro le sue parole. Come se la cellulite potesse fermarmi. Ce l'hanno tutti, persino io. Perché ne dovrebbe fare un dramma? È inutile.

A te non importa del suo culo a fragola, Jordan, tanto non lo toccherai mai. Perciò piantala.

Stupida coscienza.

«Ma certo.» Si asciuga in fretta e furia e abbandona il telo spiegazzato per terra, poi mi rivolge un sorriso. «Ho intenzione di cenare fuori, adesso vedo cosa c'è rimasto in frigo. Ma dobbiamo fare spesa.»

«Io non faccio spesa. C'è la domestica per quello.»

«Amelia è andata in ferie. Retribuite, certo. Vado io a fare la spesa da tre settimane, JB.» Alza gli occhi al cielo e mi dà le spalle, diretta dentro casa.

Non me ne sono accorto. Di solito Amelia viene la mattina, quando sono agli allenamenti. Sistema casa, rifornisce frigo e dispensa e mi prepara i pasti. Da quando c'è Calista in casa le cose sono cambiate, ma credevo che continuasse a essere Amelia a fare la spesa.

Chiudo gli occhi con un sospiro. Scommetto ogni singolo dollaro che posseggo che mi trascinerà in un cazzo di supermercato. 

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Where stories live. Discover now