Capitolo 1

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Non ne potevo più di quell'estate.  I giorni sembravano lunghissimi, le ore interminabili. Ero in punizione, il mio anno scolastico non era stato uno dei migliori, ed ero stata rimandata in greco, tutta colpa di quel foglio di carta che accidentalmente era finito sotto il mio banco, un pezzo della versione del compito in classe. Da allora il professore aveva deciso che doveva farmela pagare, qualsiasi cosa dicessi o facessi, ore interminabili di studio, ripetizioni private, niente era servito per poter alzare la mia media. Diceva che in questo modo avrei imparato, che mi sarebbe servito a crescere, e quindi avrei dovuto affrontare l'esame di riparazione a settembre. I miei genitori non l'avevano presa bene, mi avevano messo in punizione. Niente cellulare per tutta l'estate. Niente tablet, niente portatile, niente di niente. L'unico mio contatto con il mondo esterno, sarebbe potuto essere lo scatolone di quel computer fisso che mio padre tiene come mausoleo nel salotto ma ovviamente, proprio in quel momento, aveva deciso di mandarlo in assistenza. Niente internet, niente Facebook, Instagram, WhatsApp o qualsiasi altra cosa potesse solo avvicinarsi ad un social network. Ma la mia punizione non si limitava solo a questo. Ogni  anno la mia parrocchia organizzava una gita per tutti i ragazzi, lo so che detta cosi potrebbe sembrare una cosa noiosa ma non era cosi. Infatti non si trattava di un gruppo di preghiera o cose simili, era una vacanza per noi ragazzi, quello era "il campeggio". Non si poteva mancare, lì accadeva di tutto. Quell'anno l'avrei perso, tutti i miei amici erano lì. Eccola qui la povera Sara, sola, sfigata e isolata dal mondo. Avevo trascorso tutta l'estate tra ripetizioni, fare da babysitter ai miei cuginetti, qualche giornata al mare e ripetere i versi di greco davanti allo specchio. Il giorno seguente sarebbe stato l'ultimo, finalmente era arrivato il giorno di quel benedetto esame di riparazione, il primo settembre. Era anche il giorno in cui tutti tornavano dal campeggio, mancavano quindici giorni all'inizio della scuola, mancavano quindici giorni alla fine della mia punizione. Quella mattina mi ero svegliata presto, mi ero vestita, avevo ripetuto i versi per l'ultima volta davanti allo specchio ed ero uscita  per prendere il treno.  Eccola lì la mia scuola, così silenziosa senza tutti quegli studenti, ce n'era solo qualcuno, che se ne stava pensieroso in vista dell'esame che avrebbe dovuto sostenere. Una volta suonata la campanella, mi sono fatta coraggio per entrare. Il professore di greco mi stava guardando con un sorriso strafottente, sembrava volesse prendersi gioco di me, il suo profumo pungente si sentiva già dall'ingresso, improvvisamente aveva deciso di rivolgersi a me facendomi sussultare.
« Signorina Valestra Sara, si avvii in biblioteca, terremo l'esame lì, la raggiungerò subito. Si scelga un banco e si sieda. »
Senza fiatare e senza esitare , mi stavo dirigendo con passo svelto verso la biblioteca e pensavo menomale che ci sarà anche il prof di scienze, senza testimone l'esame non si può fare. Arrivata al primo banco ho preso la decisione di sedermi lì, ho tirato fuori i libri dalla borsa, gli ho dato una rapida occhiata. Avevo studiato un'estate intera, mi era costato troppe cose quell'esame, doveva essere tutto perfetto. Il professore una volta entrato, si era seduto di fronte a me senza aver perso quel suo sorriso strafottente. Osservando i libri che poco prima avevo posizionato di fronte a me, comincia a sfogliarli in silenzio.
« Professore mi scusi, ma il professore Panico non è ancora arrivato? »
« Il professor Panico? »
« Si, il professore di scienze. »
« Non verrà. »
Dovevo essere sbiancata in volto.
« E' un problema? »
« No professore, nessun problema »
« Benissimo, allora vediamo un po' su cosa posso interrogarti... vediamo se hai studiato. »
Sosteneva il mio sguardo molto divertito, mi stavano sudando le mani.  Mi sentivo molto preparata sugli argomenti ma il professore si impegnava per mettermi ansia e ne era perfettamente consapevole. Credevo che il suo solo scopo era quello di farmi agitare sempre più. Mi aveva colto di  sorpresa nel momento in cui aveva cominciato a darmi del tu:
« Sara, allora dimmi, cosa hai fatto quest'estate? »
« Professore, ho studiato »
« Su questo non ho dubbi e per questo ritengo che sia inutile interrogarti, vedo che le pagine dei libri sono consumate, quindi si capisce che tu ci abbia perso del tempo. Se siamo qui c'è un motivo, lo scorso anno non ti sei impegnata troppo, volevi fregarmi, volevi copiare il compito in classe ed è una cosa che non posso tollerare. Per questo ho voluto punirti e sapevo che i tuoi genitori l'avrebbero fatto più di me. Come si sta senza cellulare? Direi che è una liberazione. Ma suppongo che per una ragazza della tua età non sia esattamente la stessa cosa. Ti sarai sentita persa. Prendi questa sensazione e ricordatela, non dimenticarla mai. Questo sarà l'ultimo anno di liceo, non mi va di darti altre punizioni, so che hai studiato quindi è inutile perdere tempo. Metti i libri in borsa e va' a rilassarti, cerca di goderti quello che resta di questa estate. »
Mi sentivo stupida, dalla mia bocca non usciva nessun suono, non riuscivo a rispondere. Ero arrabbiata e non riuscivo a capire. Sicuramente era una presa in giro, tutto ciò non aveva alcun senso. Sembrava aver colto alla perfezione il mio stato d'animo.
« Non sto scherzando. Come voto ti metterò un sei. Consideralo la fine della mia punizione e ora vai che ho un sacco di cose da fare »
« Grazie professore, arrivederci »
Grazie un corno avrei voluto dire.
Ho radunato in fretta le mie cose e sono scappata via dalla biblioteca. Una volta fuori non riuscivo a respirare. Ero arrabbiata. Avevo trascorso tutta l'estate a studiare, non ero uscita con i miei amici, mi erano stati negati tutti i social, non ero potuta andare in campeggio, tutto per cosa, per due parole di ramanzina da parte del professore. Non era giusto.
Fortunatamente il pullman era arrivato subito, ero riuscita a tornare a casa in poco tempo. Mia madre ovviamente non aveva creduto a una sola parola quando le avevo raccontato quanto era successo con il professore. Ero talmente arrabbiata che non ero riuscita a rendermi  conto che qualcosa in salotto era cambiato. Mentre seguivo mia madre in cucina l'avevo visto, il vecchio computer fisso era proprio lì al suo solito posto, tornato come per magia dall'assistenza. Avevo fatto finta di non vederlo per tutto il pomeriggio. Erano le diciannove, mia madre e mio padre si stavano preparando per andare a casa di alcuni amici, mio fratello stava uscendo per andare a una festa. Sarei rimasta in casa da sola, come succedeva ormai già da un po'.  Mi ero stesa sul letto e avevo acceso la tv. Una volta usciti tutti ero sola, non sarebbero tornati prima di mezzanotte. Erano le otto, mi sono alzata di scatto dal letto, talmente di scatto da tremarmi le gambe, probabilmente più che per lo sforzo era per l'eccitazione di quello che stavo per fare. Sono corsa in direzione del salotto e sono rimasta a fissare lo schermo spento per almeno venti secondi. Sembrava che gli arti  non mi rispondessero più, dopo aver respirato profondamente, con uno scatto avevo spostato la sedia per sedermi. Il mio dito era scivolato sul pulsante di accensione e lo schermo finalmente si era acceso.

Un salto nel vuotoWhere stories live. Discover now