72 Non lasciarmi solo

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Sospirò, solleticandomi il collo. Appoggiò la testolina tra la spalla e la clavicola e mi maledii per non essermi sfilato la camicia, che mi impediva di sentire la sua pelle sulla mia.

«Non ho iniziato stasera. Sono stata adolescente anche io, sai?»

«Certo che lo so. È stato tipo la settimana scorsa...»

Fece tintinnare una risatina, un po' meno acuta del solito. «Non sono così giovane, signor Baker.»

Attesi un po', convinto che avrebbe trovato il modo di dirmi cosa la tormentava. Non accadde.

«C'è qualcosa che vorresti dirmi, amore mio?»

Si mise a giocherellare con i bottoni della camicia. «No.»

«Mm. Allora, forse, c'è qualcosa che non vorresti assolutamente dirmi?»

«Sì.» Alzò il mento per lasciarmi un bacio sulla mascella, le dita che ancora indispettivano i bottoni.

Da sotto la coperta tirò fuori un braccio e appoggiò la bottiglia di Martini a terra, accanto a noi. Non era quello, che doveva dirmi. Quella bottiglia serviva solo a prepararmi relativamente alla dimensione del problema. E la dimensione non era nemmeno finita lì.

«Ok, Lea. Ascolta, per me non è un problema se scegli di tenerti dentro alcune cose, hai diritto ai tuoi segreti, ai tuoi cassetti chiusi a chiave, ai tuoi ricordi privati. Ma se ce ne sono alcuni che ti spaventano, o che ti fanno star male, è meglio parlarne un po'. Non so se posso aiutarti a elaborarli, ma almeno possiamo sopportarli insieme.»

«Sì... ero venuta a cercare le parole, perché non riuscivo a dormire. Ma adesso, adesso mi sento un po' stanca.»

Le presi il volto tra le mani, piano, cercando di scorgere le condizioni delle sue pupille con la sola collaborazione della luce della luna.

«Lea, hai preso qualcosa per dormire?»

Fece una piccola smorfia, consapevole di non poter mentire. «Sì.»

Non vedevo granché, ma se avessi dovuto scommettere, avrei detto che quelle dannate pupille erano un po' troppo dilatate. «Xanax e Martini? Ma cazzo...»

«Non fare il bacchettone, non credere sia la prima volta.»

Non lo credevo, ma le sue parole mi sembravano sempre più trascinate, meno comprensibili. Una mano abbandonò il suo visino per prendere la bottiglia: non era vuota, ma ne aveva bevuto una quantità non propriamente innocua.

«Quanti Xanax hai preso, Lea?»

«Uno. Non sono deficiente, Trevor.»

«Sicura? Dimmi la verità.»

Si accucciò di nuovo contro di me, mi venne spontaneo circondarla con le braccia. Mi era sembrata sincera.

«Sicura. Sono solo stanca...starà funzionando...»

La testolina crollò contro il mio petto. Era decisamente troppo stanca. Le sollevai il mento, ormai convinto che ne avesse combinata un'altra delle sue.

«Lea, guardami, tieni gli occhi aperti...» si sforzava, faceva fatica. Uno Xanax, come no. «Lea, quanti ne hai presi? Non può essere uno solo.»

«Sono figlia di una tossica, ne ho preso uno.»

E la sua vocina affannata era convinta, sotto quel macigno di stanchezza indotta, ma quello non era l'effetto di un solo cazzo di Xanax.

Sospirai, già arreso all'inevitabile. A malincuore, mi liberai del corpo di Lea, appoggiandola contro la vetrata avvolta nella sua coperta. Afferrai la bottiglia di Martini ed entrai in casa. Appoggiai la bottiglia nella vetrina degli alcolici e aprii il cassetto in cui avevo messo, tra le altre cose, la confezione di Xanax. Guardai il blister. Presi atto della situazione. Tornai da Lea e la feci alzare. Senza la sua collaborazione, naturalmente.

PRICELESSWhere stories live. Discover now