59 Innalzare le mie depravate pulsioni

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Se avessi immaginato che Lea sarebbe venuta a Londra quella notte, forse avrei pensato a come rendere speciale ognuna delle suite. Nemmeno le avevo mai viste, quelle stanze. Non mi ero interessato a nulla, se non a indispettire mio padre con una modifica sostanziale al lampadario enorme da installare nella hall.

Tutto sommato, fummo noi a rendere speciali le suite, quella notte.

L'unica cosa che ricordo della prima, è che lì dentro non accadde esattamente ciò che si aspettava la mia cosina preferita.

Aveva fretta, aveva voglia, aveva fame. Ma io ero molto più affamato di quanto lo fosse lei. E no, non esattamente per lo stesso motivo.

Le bloccai i polsi con una sola mano non appena iniziò ad armeggiare con i bottoni della mia camicia.

«No.»

Alzò i suoi smeraldi in cerca di una spiegazione. Trovò tutta la mia inamovibile volontà di pareggiare i conti.

«No?» mi chiese, con quel broncio che aveva il potere di farmi confluire tutto il sangue sulla punta dell'uccello, svuotando il cervello. Quella sera, tolse un po' di sangue anche al cuore.

«No Lea. Non adesso. Prima devi fare un'altra cosa, bambina.»

Le baciai le nocche delle mani, per rassicurarla almeno un po'. Ero ancora incazzato, ma ero ben più innamorato che incazzato. Si trattava solo di gettare un po' d'acqua sul mio fuoco.

Vidi il suo sguardo alzarsi un po' di più, in cerca di una risposta sul soffitto. Non la trovò.

«Non capisco, mi dispiace.»

Senza liberarla dalla mia presa sui polsi, mi avventai sulla sua bocca che sapeva implorarmi in un modo osceno e tenero allo stesso tempo ogni volta che mi infilavo dentro di lei in un qualunque modo.

Le diedi il bacio di cui avevo bisogno in quel momento, un bacio esigente, cui lei poteva solo sottomettersi, un bacio che si prendeva tutto quello che voleva, senza chiedere il permesso, senza provare gratitudine ma alimentando tutta la mia possessiva ossessione per lei.

Mi presi la sua bocca e la sua lingua e non la lasciai andare neanche quando le morì un gemito tra le mie labbra.

Volevo piegarla a me, averla a mia disposizione.

Liberai la sua bocca solo quando me ne fui saziato allo sfinimento, solo quando non potevo più attendere un altro secondo prima di avere quello quello che avrei preteso, ciò che mi spettava.

Le sue labbra arrossate sul viso pallido erano l'incarnazione del peccato, diabolica seduzione in un girone di eccessi.

Le infilai una mano tra i capelli con una presa opprimente che non aveva l'intento di farle male, ma solo quello di imporre la mia voglia sulla sua. Si morse il labbro mentre mi guardava e mi si prosciugò tutto, tranne il cazzo, gonfio e rabbioso.

«Spogliati e fallo in fretta, bambina. Non prevedo nulla di poetico per i prossimi minuti.»

Le lasciai andare i polsi e la vidi esitare. Non venni nemmeno sfiorato da un briciolo di comprensione nei suoi confronti. I debiti vanno saldati. Eventualmente a rate, e con un interesse adeguato. La mia bambina non aveva finito di saldare il suo.

«È meglio se esegui, bambolina, perché se mi girano troppo i coglioni potrei non essere sufficientemente incline alla pazienza persino con te.»

Fui ben felice di notare che la cosa non la intimoriva per niente.

«Non essere crudele» mi disse, e la sua non era davvero una richiesta, né una supplica. Una raccomandazione, forse.

«Questo mai, con te. Ma non sarò nemmeno comprensivo, Lea. Questo ti deve essere chiaro.»

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