La coscienza.

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L’uccellino tornò, sereno e riposato. Si ripresentò dal nulla durante una mattinata d’inverno. Non cercava me, non era giunto da lontano per vedermi. Si era ritrovato in mezzo a quella piazza, dove a me piaceva buttare il tempo per il gusto di rilassarmi innocuamente. Si sedette a fianco a me e sorrise, consapevole dell’ironia della situazione. Da quando lo vidi volare via era passato molto tempo. Io ero un giovane diverso, e le sue ali si erano fatte più belle. Di fianco a me non sentiva la necessità di volare, preferì godersi il silenzio confortevole, vivo nei nostri respiri ghiacciati.
“Ho visto tante cose”, dissi ad un tratto per spezzare la tranquillità. In qualche modo volevo raccontargli la mia vita, le mie esperienze. Le sue orecchie sembravano contente di potermi ascoltare, dunque decisi di non frenarmi. Parlai dell’automa, dello scienziato, e anche del mostro. Parlai della ragazza della luna, e di quante cose, indirettamente, avevo imparato da lei. Continuai narrandogli le mie avventure nel regno dei rovi, nei prati fioriti e perfino delle mie delusioni. Ogni storia, dettaglio dopo dettaglio, frammentava la mia vita in momenti, scene colme di sgargianti diversità.
Lui trovò divertente, in seguito al mio racconto, vedermi da solo. Conobbi posti, persone, reami insiti nella mente della gente. Nonostante tutti i viaggi e gli insegnamenti, ancora tergiversavo su una panca dispersa nel nulla. Questa piazza bianca condensava l’idea del mio anonimato, della mia identità vacillante. Volevo confessare tutte le mie parole, anche quelle più severe, per non lasciare nulla di irrisolto. E sebbene le creature attorno a me sembrassero aver ottenuto una forma tutta loro, io mi sentivo scomparire.
“A che scopo sforzarsi per questa conclusione?”. Il dilemma della causa era una questione già affrontata da me in precedenza, e crescendo, maturando tra i cuori della gente, credetti di poter accettare l’inesistenza della fonte.
“Forse la causa è dentro ognuno di noi”, risposi al ragazzo uccello confondendolo maggiormente.
“Tu parli vagamente”, ribatté lui.
“Hai ragione”.
“Allora sii più chiaro, o sembrerai solo blaterare di fantasmi che vedi solo tu”. In un attimo, le figure dei miei precedenti viaggi si plasmarono di fronte a me. Erano flebili, corpi trasparenti delineati da una semplice luce bluastra. Riconobbi l’automa, il mostro, lo scienziato e anche il ragazzo della metro.
“Che cosa hai confessato ad ognuno di loro?”.
Non seppi rispondere. Il mio prolisso monologo si interruppe sul significato della sua partenza, e quando è assente il ‘Perché’, è schiacciante dover giustificarsi di fronte alla coscienza.
“Sembra che siamo sempre in attesa di disastri come questo”, aggiunsi desolato. L’uccellino rise in modo dolce; non voleva criticarmi, o giudicare le mie scorribande sconclusionate. Sapeva che dietro all’ombra dell’apparenza non eravamo così diversi. Conosceva il peso di non saper ritrovare più il proprio posto, e nella lontananza della sua esistenza, si era accorto di come i confini potessero essere allargati. Malgrado il buon profitto del suo pellegrinaggio, notò la mancanza di una casa, di un odore intenso e ipnotizzante. A furia di volare sempre avanti, non era in grado di riconoscere il passato. Fu una disdetta rispecchiarci nei nostri occhi, poiché vogliosi di esplorare il mondo, non sapevamo distinguerci da semplici mendicanti. La costante sensazione di doversi medicare la coscienza, attraverso menzogne inebrianti e velenose, era uno sputo sulla nostra dignità, oltre che orgoglio. La nostra casa era lo spettro di un caos ipocrita, fallace nelle sue dinamiche più intime. Le mura erano di cartone, gli interni erano cupi e umidi. Gli inquilini, traboccanti di ispirazione, erano falsi miti posti al centro del nostro credo. 
Giunse il momento di impacchettare le proprie cose. Dovevamo afferrare la coscienza e stringerle il collo. Era necessario estrarre dal suo ventre il futuro e la pace.
“Ti confesso che ti voglio bene”, mi disse prima di congedarsi. Io annuii, cosciente di aver vissuto una vittoria, un successo nostalgico, un passo indietro verso il vortice di convinzioni fatue.
Ammetto la mia confusione, oggi più che mai. Confesso il prisma dei miei sentimenti, la mia felicità, come la mia tristezza.

ConfessioniWhere stories live. Discover now