Capitolo 11

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Erano da poco le due di notte e io me ne stavo ancora su quella panchina ringraziando continuamente che nel posto in cui ero capitata fosse molto meno freddo...quindi un misero giacchetto e una felpa abbastanza pesante mi riscaldavano a sufficienza. Ma anche se ciò poteva portarmi a dormire senza problemi e i miei occhi stavano pregando di potersi chiudere, rimasi comunque sveglia per tutto il tempo. Continuavo a chiedermi il motivo per cui fossi finita a Magical City e soprattutto come potevo andarmene di lì, perché avevo un disperato bisogno di tornarmene a casa dai miei genitori e da Ange...              

Oddio...                                                                                                                                                                                      Ange! Accidenti doveva essere preoccupata a morte per non avermi più vista dopo che quell'acqua del cavolo mi aveva portata via con sé. Come avrei potuto spiegare la mia assenza se mai fossi riuscita ad andarmene? Dio, la vera fortuna che avevo era il fatto che non avrei ricevuto una punizione. Rose e Ale non ci credevano, anzi, direi che le ritenessero per lo più inutili. Mi ricordo la prima volta in cui ne feci parola con Ange...era talmente invidiosa che andò dai suoi genitori a farglielo presente mettendosi anche quasi a piangere per la terribile fortuna che mi era capitata. A me venne talmente da ridere che le feci trasformare quelle lacrime in piccole nuvolette di vapore per la rabbia che le era salita in corpo. Mentre rimuginavo su quei vecchi ricordi me ne stavo lì, sdraiata su una panchina terribilmente scomoda a guardare le stelle...non c'era notte in cui non mi fermassi almeno quindici minuti per guardarle. Sarebbe stato ancora più bello se avessi avuto con me il telefono e le mie cuffie per potermi ascoltare una delle mie quattro playlist, ma purtroppo entrambe le cose le avevo lasciate dentro la borsa. Di certo non potevo immaginare che venissi risucchiata dal mio stesso potere. Sospirai e con il poco sonno che avevo provai ad addormentarmi. 

Era poco più di mezzogiorno e stavo morendo di fame. In quel momento avevo una voglia matta di essere a casa per gustarmi i miei amati spaghetti in bianco, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto farne a meno, e per un tempo molto breve avrei sperato. Visto che non avevo il telefono dovevo arrangiarmi e trovare un posto in cui poter mangiare camminando senza sosta, e io odiavo camminare...Se avessero inventato delle ali da poter attaccare alla schiena di sicuro io sarei stata la prima ad averle avute. Mi resi conto andando via dal parco che ci saranno state almeno una decina di strade all'interno della città, e qualcosa mi diceva che se avessi voluto mangiare me le sarei dovuta fare quasi tutte, sempre se non fossi riuscita al primo colpo a trovare un bar. Non sapendo come orientarmi vagai totalmente a caso e mi ritrovai al punto di partenza, nella piazza centrale, davanti alla fontana. Perfetto, potevo anche dire addio al pranzo per quel giorno. Mi misi a sedere sul bordo di essa e cercai con gli occhi un posto lì vicino, fino a che non si puntarono sull'edificio che adocchiai la sera prima, quando tutti i cittadini si riunirono portando un sacco di cose da mangiare...ed ecco che mi venne un'idea. Senza farmi vedere aprii le immense porte di legno alte quasi due metri, e poi entrai chiudendole silenziosamente alle mie spalle. Essendo che non c'era nemmeno l'ombra di una finestra per dare un po' di luce vidi che accanto a me vi era un'enorme lampada a forma di goccia, così come negli altri tre lati della stanza, e per sentirmi più sicura le accesi tutte. Vidi che era una sala in cui il soffitto, il pavimento e le travi che sorreggevano tutto quel peso erano interamente di legno; al centro di essa vi era stato piazzato un lungo tavolo con una sfilza di sedie e dietro un ampio palco rialzato. Mi chiesi se fosse un'abitudine per i cittadini riunirsi tutti attorno per parlare e mangiare insieme, forse poteva essere anche un buon modo per gli adolescenti per potersi fare qualche amicizia; mi venne da ridere, ero sicura che se fossi appartenuta a quel posto nemmeno in quel caso sarei riuscita ad aprire i miei orizzonti, sarei rimasta in ogni caso una inguaribile asociale. Mi sedetti in una di quelle sedie provando a immaginare come fossero quelle cene: piene di adolescenti e adulti che condividevano fra di loro cosa avevano fatto durante la giornata, magari qualche battuta qua e là, qualche risata per smorzare la scena e forse anche con la presenza di svariati diverbi. Era come starsene nella propria cucina, solo che tutto invece di avvenire in privato veniva sperperato in pubblico. Dubitavo che mi sarebbe piaciuto. 

La verità nascosta nell'acquaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora