Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 17 ✞︎ [𝑬 𝒛 𝒓 𝒂]

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Tuttavia, quella sua espressione, il tono serio e la noia mortale, lo spinsero a rivivere quella conversazione in un loop infinito e la quattordicesima volta che si rivide a fissare il riflesso di Victor – proprio quel Victor che stava sempre solo in casa – pronto per uscire e andare a una festa con un amico e amici dell'amico lo spinse a seguire il suo esempio.

Adesso, Ezra si stava pentendo di quella decisione, bloccato in un angolo con la terza sigaretta della serata stretta tra le labbra. L'unica nota positiva in quell'assurda cacofonia che lo circondava, fu di aver trovato il ragazzo che vendeva l'erba e di aver rimediato quel sacchettino trasparente che adesso teneva nella tasca dei pantaloni come il più grande dei tesori.

Si sfilò la sigaretta dalle labbra, sbuffando il fumo in testa a una ragazza che gli stava passando davanti e poi fece scorrere lo sguardo sull'insieme di maschere che si muovevano per la Residenza con agitazione e si bloccò, improvvisamente meno annoiato, quando ne individuò una tragicamente più bassa delle altre.

Victor era qualche metro più avanti, in piedi accanto a quel matto ragazzo di teatro e separato da Ezra da una dozzina di ballerini. Teneva in mano un bicchiere mezzo vuoto e ascoltava le continue chiacchiere dell'amico con un'aria annoiata – proprio come Ezra – poi Julian si voltò verso di lui con un'espressione trafelata. Disse qualcosa, Victor aggrottò le sopracciglia e inclinò il capo, così lui gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Fu rapido, assurdo, inverosimile.

Ezra rimase interdetto per qualche secondo, nell'osservare le labbra impacciate di Victor accarezzare quelle di Julian, poi rise.

«Ne è valsa la pena.», mormorò a se stesso, distogliendo lo sguardo e ridacchiando mentre tentava di farsi strada verso le scale che l'avrebbero portato al soppalco e, quindi, alla terrazza dove avrebbe potuto fumarsi quell'erba che aveva anche strapagato.

Uscì e l'aria fredda lo colpì in pieno viso, ma per lo meno riusciva a respirare. La terrazza era vuota – perché nessuno riusciva a superare la calca di studenti e si fermavano tutti a metà scala – a parte una coppia intenta a esplorare i rispettivi genitali con un interesse quasi scientifico.

Tirò fuori l'erba e iniziò a girarsi la cartina con una lentezza estenuante, mentre di tanto in tanto lanciava un'occhiata alla ragazza – aggrappata alle spalle del ragazzo – che lo stava guardando. Le sorrise e poi si voltò, poggiandosi sulla ringhiera per accendere la canna che adesso si agitava tra le labbra mentre tentava di sistemarla. Lasciò che il fumo gli stagnasse in bocca per alcuni secondi, prima di lasciarlo andare attraverso le narici come il fuoco di un drago che tentava di proteggere il suo tesoro.

La musica stava diventando assordante e così i sospiri sincroni della fastidiosa coppia. Pensò di tornarsene a casa, pensò di bere fino a vomitare, pensò a Victor. Si guardò le mani e ricordò quello che gli aveva detto tempo prima, quando lo convinse ad aiutarlo, ricordò come lo aveva guardato da quel giorno, ricordò come aveva studiato ogni singola mossa aspettando di vederlo sedersi davanti alla tastiera. Era chiaro che Victor moriva dalla voglia di scoprire il motivo per cui Ezra non suonava, se non costretto. Il problema che gli mangiava il cervello come un tumore era che Ezra avrebbe potuto avere mille motivi, ma nessuno da proporre al ragazzo e non era nemmeno convinto di averne uno per se stesso. Com'è che dicevano? Ripicca.

Vedendo, però, il modo in cui quel ragazzo si impegnava – ogni singola sera – a imparare un pezzo, il suo pezzo, quasi gli fece ricordare com'era quando la musica era la sua unica fonte di ossigeno, quando anche sotto la pressione riusciva a tirar fuori qualcosa di buono da quei freddi tasti.

Sospirò, osservò il fumo uscirgli dalle labbra e poi si voltò, appena in tempo per notare una piccola figura che era riuscita – incredibilmente – a raggiungere la terrazza.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora