CAP. 2

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"Tutto si riduce all'ultima persona a cui

Pensi la notte.

È lì che si trova il cuore."

Charles Bukowski

Quella notte era fredda, sola, grigia. Eppure niente avrebbe reso l'atmosfera più cupa delle lampade che illuminavano il volto di Arya. Il funerale era finito da ore, ma il ricordo della bara che veniva coperta dalla terra non le si toglieva dalla mente. Aveva definitivamente perso ogni contatto con la madre e questo la feriva più di ogni altra cosa. Aveva provato a dimenticare, a pensare ad altro... come gli altri si aspettavano. Ma era troppo difficile. Aveva provato a far finta di niente. Ma come poteva? Era una montagna che lei voleva scalare senza materiale, aggrappandosi alla roccia con le unghie, fino ad insanguinarsi le dita. Aveva provato a dormire, a stare sveglia, a coccolarsi, a farsi male... ma niente la liberava dalla strana sensazione di abbandono che provava. La servitù la evitava come per non pesarle addosso. Le cugine e le amiche non le rivolgevano la parola, non avendone la possibilità. Dopo essere state cacciate da Arya, avevano passato il tempo a riflettere, a soffrire per la cugina e l'amica che si trovavano a dover affrontare nelle sue paure.

Quando non riuscì più a stare sola lì, il dolore che le schiacciava gli organi contro la gabbia toracica, decise di alzarsi. Percorse la stanza a piedi nudi, osservando il riflesso della debole luce lunare contro la neve. Aprì la porta lentamente e percorse il corridoio, i piedi nudi che ghiacciavano ad ogni contatto con le piastrelle., le guardie che la osservarono, immobili, quasi stupite. Attraversò un corridoio freddo e buio e raggiunse una delle tante porte che riempivano la via illuminata. Bussò lentamente alla porta, sperando poco in una risposta. Ma quella arrivò. Sentì la debole voce del padre chiedere chi fosse. Lei aprì lentamente la porta, rimanendo inchiodata all'ingresso. Lui la osservò preoccupato. Era la prima volta che Arya vedeva il padre a letto e le sembrò assurdo vederlo con quella specie di largo accappatoio, il petto quasi scoperto, le maniche larghe a scoprirgli le braccia forti e muscolose di un soldato. Gli addominali scolpiti, il collo forte, le spalle larghe e accoglienti... I capelli chiari sciolti dalla solita posizione ordinata gli ricadevano sul volto. Aveva la luce accesa accanto a sé, a illuminare gli occhi di una luce strana. "Cosa c'è?" chiese preoccupato. Arya rimase immobile, non sapendo come dire ciò che voleva di più. "Papà..." deglutì per darsi coraggio. "Posso... posso dormire... qui con te?" la sua voce tremava e le mani erano nascoste dietro la schiena. Il volto rivolto verso il basso. E se le avesse detto di no? Se l'avesse trovata una bambina? Se l'avesse mandata via?

Ma il suo sguardo si addolcì e si abbassò sui piedi di Arya. "Ma certo che puoi." Disse, alzandosi e raggiungendola. Le cinse le spalle con il braccio e la guidò verso il letto. Chiuse la porta, poi coprì la figlia con la coperta morbida. Le carezzò la fronte e le si coricò accanto.

"Come stai?" le domandò, sapendo in parte la risposta. Ma quella luce che balenò negli occhi di Arya gli pose il dubbio. Le labbra sottili si incurvarono in un debole sorriso. "Sono contenta di stare con te." Disse solo. Si strinse nelle coperte e sospirò. Si sentiva al sicuro. Lì... con suo padre accanto, la sua mano in quella forte di lui.

Si addormentarono così... riparandosi l'uno nell'altro... trovando nell'anima dell'altro un luogo dove rifugiarsi, dove sorridere anche per sbaglio.

La mattina dopo Arya si svegliò, il letto caldo, ma vuoto di tutto ciò che c'era stata la sera prima. L'altra metà del letto era in ordine ed Ascanio era sparito. Arya si mise a sedere, stiracchiandosi. Si sfregò gli occhi, trovandoli umidi e una nuova ondata di dolore la investì. Tutto ciò che non l'aveva sfiorata nelle ore precedenti le ricadde addosso improvvisamente, ricoprendola e seppellendola. Sua madre era morta, il funerale era avvenuto il giorno prima. Arya era sola. Completamente sola. E non riusciva più a vivere come prima. Come aveva potuto dormire così serenamente da dimenticare tutto? Si sentì estremamente in colpa. L'aveva dimenticato. Aveva dimenticato tutto. Il dolore, la nostalgia. Era tutto finito in quelle ore e le era ripiombato addosso in un lampo. Si tirò le coperte fino alla bocca e chiuse di nuovo gli occhi, cercando di cacciare i brutti pensieri. Pensò alla sera prima,quando aveva chiesto al padre di poter stare con lui. Quella sensazione di essere tornata la bambina che una volta era, con le paure a circondarla e come unica consolazione la presenza di braccia pronte ad accoglierla. Sospirò e con un gesto deciso scansò le coperte. Respirò a fondo, riempiendosi dell'aria di inverno che la rinfrescava e un debole sorriso le comparve sulle labbra, illuminandole anche se solo di poco di una luce intensa. Posò i piedi sul pavimento freddo, senza nemmeno accorgersi delle scarpe che erano state messe vicino al letto per lei, e scì a passi leggeri dalla stanza, stringendosi nella vestaglia bianca, sentendo lo sguardo delle cameriere e delle guardie addosso.

Pura Come Neve E Sangue Where stories live. Discover now