Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 4

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«Perché continui a fumare in casa?», fu la risposta seccata di Victor che mosse le braccia con una vitalità che Ezra non credeva possedesse. Osservò in silenzio il tentativo del ragazzo di far svanire i pigri rivoli di fumo che danzavano in aria, poi parlò ancora.

«Potresti chiedere aiuto invece che distruggermi i timpani con quel tuo do e quel tuo fa.», continuò l'altro sbuffandogli in faccia il fumo che si era tenuto dentro la bocca.

«A te?», Victor sollevò un sopracciglio scettico, poi lo guardò con più attenzione in cerca di un minimo segno di vitalità in quel volto piatto e annoiato.

Ezra era immerso in una maglia bianca e larga che gli andava a coprire le mutande, aveva i capelli ormai troppo lunghi legati in un piccolo codino sopra la testa che lo faceva somigliare a una pianta e il viso magro e affilato che aveva tutta l'aria di ignorare anche le basi del mondo della musica. Frequentava il Conservatorio, di questo Victor ne era sicuro, ma non ci fu una singola volta che lo vide suonare o che lo sentì anche solo parlare di musica.

Ezra non usciva quasi mai, non aveva amici, non si confrontava con nessuno, fumava e si isolava anche all'interno del suo stesso appartamento. A Victor non dispiaceva, se doveva essere onesto, il non avere a che fare con lui perché odiava quando Ezra iniziava a parlare e non smetteva più, ma allo stesso tempo lo innervosiva la sua totale mancanza di interesse e gli veniva da chiedersi per quale motivo fosse ancora lì dopo tre anni, se per effettivo amore per la musica o soltanto per spendere denaro in qualcosa che l'avrebbe fatto sembrare diverso agli occhi degli altri.

Ed effettivamente Victor di quel ragazzo dallo sguardo sempre profondamente tediato qualcosa era riuscito ad azzeccare, ovvero che aveva molto denaro da spendere e che odiava la musica, odiava il pianoforte, odiava anche solo seguire le lezioni teoriche. Quello che però gli sfuggiva era che quel suo odio non era in realtà che una messa in scena, Ezra odiava la musica tanto quanto ne era innamorato e quel finto odio, quel suo trascurarla fin quando a lezione non era costretto a dimostrare le proprie capacità era soltanto un inutile protesta per quell'infanzia che a causa della musica gli era stata rubata.

Ezra non frequentò mai la scuola, studiò a casa per tanti, tantissimi anni e i suoi amici, quelli che pendevano dalle sue labbra a ogni sua parola e che lo trattavano come se fosse fatto di cristallo, che erano sempre d'accordo con lui in ogni fottutissima occasione, non erano altri che figli di amici dei suoi genitori.

Suo padre componeva, sua madre cantava e lui non poteva far altro che diventare il figlio prodigio. E, prodigio, Ezra lo diventò ascoltando musica classica fin dalla culla, sfiorando il primo pianoforte a quattro anni seduto sulle gambe del padre, ascoltando la madre cantare, seguendo le lezioni che gli venivano impartite, suonando fino a dimenticare chi fosse. Ezra imparò a riconoscere ogni singola nota appena accennata, diventò amico così intimo della musica da riuscire a piegarla, da saperla mettere a nudo per scovare ogni suo segreto, da riuscire ad abbandonare quella tecnica che ancora incatenava le dita di Victor, lasciando che ogni suono diventasse espressione del suo pensiero, di quelle emozioni che aveva imparato a tenere per sé.

La musica era un suo segreto, non voleva consegnarla al mondo come suo padre lo spingeva a fare, era così geloso della sua unica vera amica da rinunciare a suonare quando qualcuno gli era intorno. E spesso gli capitava di pensare a come sarebbe stata la sua vita se avesse avuto possibilità di scegliere il suo cammino, lei sarebbe stata ancora lì?

Ezra, però, la possibilità di scegliere non l'ebbe mai e sapeva che il passato sarebbe rimasto immutato. Non aveva mai avuto il diritto di parola nella sua famiglia, era il pupillo, il figlio perfetto, metteva le cravatte e i completi eleganti, incontrava gente importante, conosceva l'etichetta, sapeva da che parte mettere le forchette a tavola, i suoi amici erano soltanto marionette datogli dal padre per tenerlo buono. Era soltanto attore senza volto di un teatro non suo, lo zimbello di un pubblico che non faceva che chiedersi quando sarebbe iniziata la vera opera e non sapeva nulla di quel copione che gli era stato messo tra le mani se non che non lo aveva scritto lui. E se il passato non può essere modificato, Ezra pensava, che sarà di quel nebuloso futuro che non fa che confondermi?

Ezra non avrebbe potuto togliersi la maschera perché gli si era attaccata addosso nel momento della sua nascita. Per questo motivo cercava in tutti i modi di disegnarcene sopra un'altra, ancora in cerca di quella perfetta forma per se stesso. Per questo motivo restava al Campus il più possibile. Per questo motivo diceva ai suoi genitori che aveva sempre tanto da studiare, che doveva provare, che era il primo della classe. Per questo motivo aveva iniziato a fumare, per questo motivo aveva iniziato a tingersi i capelli e, sempre per questo insistente motivo che gli premeva le meningi, adorava quando qualcuno lo contraddiceva, adorava quando Victor alzava gli occhi al cielo nel momento in cui apriva bocca o quando lo insultava per aver lasciato il tabacco sul tavolo.

Guardò il suo coinquilino in silenzio, per alcuni secondi, studiando il suo viso stanco e poi sorrise divertito.

«A chi altri?», domandò poggiando i gomiti sul tavolo e facendo ondeggiare la sigaretta dalla quale piccoli granelli di cenere caddero verso il tavolo.

«E sentiamo, genio, che cosa dovrei fare?», chiese Victor sarcastico, senza staccare gli occhi dalla cenere. Ezra scrollò le spalle.

«Secondo me la Marcia Imperiale si addice molto a Noel.», pronunciò queste parole, alle quali seguirono attimi di silenzio, con serietà mentre finiva di bere il suo caffè. Victor lo osservò, provando a capire quanto seriamente dovesse prenderlo.

«Cosa? Non conosci Star Wars?», gli chiese allora sollevando l'angolo delle labbra e abbassando appena le palpebre sulle pupille.

«Certo che conosco Star Wars.», fu la risposta di Victor che ormai aveva perso il filo del discorso. Odiava quando Ezra conduceva la conversazione ovunque volesse e odiava non essere assolutamente in grado di fermarlo.

«Vuoi dirmi che Noel non sarebbe stato un perfetto Darth Vader?», domandò allora alzando lo sguardo su di lui. Vide Victor accennare un sorriso.

«Forse Darth Maul sarebbe meglio.», mormorò appena prima di spalancare gli occhi e pentirsi di quelle parole, con i sensi di colpa a torcergli lo stomaco.

Noel era morto e loro erano lì a prendersi gioco di lui. Guardò Ezra e vide quell'espressione di una totale serenità, che Victor per un istante si chiese per quale motivo fosse preoccupato.

«Era una battuta? - sorrise Ezra divertito e, non ricevendo risposta, continuò - Secondo me è la canzone perfetta, si vede lontano un miglio che avevi paura di lui.», mormorò allora poggiando la tazza dentro il lavandino.

«Io non avevo paura di lui!», si difese il ragazzo che, in realtà, di Noel aveva avuto il terrore.

«Mh mh.», commentò Ezra con quel sorriso che Victor odiava con tutto se stesso e che gli avrebbe volentieri fatto sparire dal viso con qualche pugno, se non avesse avuto paura anche di una sua reazione.

«Chiederò a Grayson.», borbottò allora, non avendo comunque alcuna intenzione di andare a parlare con il gemello di Noel per fargli capire che, con il ragazzo in questione, Victor non ci aveva mai avuto realmente a che fare. Se la sarebbe cavata da solo.

«Vic. - lo chiamò Ezra appena prima che uscisse dalla cucina per rinchiudersi nuovamente in camera - Secondo me ti farebbe bene una bella canna.», arricciò il naso e sorrise, portandosi le dita alle labbra e imitando il gesto di fumare.

Victor gli puntò il dito contro e nello stesso istante Ezra alzò le mani quasi fosse in arresto, un'altra volta.

«Fuma ancora qui dentro e faccio cambiare la serratura per lasciarti fuori per sempre. E non chiamarmi Vic.», gli disse con il dito che tremava per il nervoso.

«Adoro quando mi minacci...Ma come faresti senza di me?», mormorò Ezra appena prima che Victor gli lanciasse una delle sue ciabatte grigie che lo facevano scivolare sul pavimento come un fantasma. Poi, si avvicinò alla finestra e la spalancò, per far fuggire quel pungente odore di fumo.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu