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Un nuovo ragazzo venne portato nel campo di Auschwitz.
Il giovane, numerato 20-318, non ebbe idea del perché fosse lì.
I suoi occhi color prato correvano su tutto il mondo attorno a sé, incuriositi e spaventati. La strada che stava facendo, accompagnato da una guardia, era di un verde spento, ingiallito. Le pietre portavano addosso il dolore delle persone che erano state li. La gente che passava al suo fianco sembrava chiedere pietà.
I suoi capelli, di un fondente intenso, seguivano la scia del vento. Quasi formato dalle preghiere degli uomini rinchiusi li.
Il cielo quel giorno, sembrava in simbiosi con lo stato d'animo del giovane. Era grigio, pieno di nuvole, ma non pioveva. Qualche tuono rompeva il silenzio che ormai era monotono.
"Adesso tu resti qui, non fare domande, 20-318" disse una guardia senza degnare il giovane di uno sguardo.
Il piccolo si ritrovò in una stanza insieme ad altri uomini, con stessi abiti a righe bianche e blu ma numeri diversi.
Un ragazzo si avvicinò timidamente al nuovo arrivato.
"Sei nuovo? Come ti chiami?" Chiese con voce gracile.
"Si. Mi chiamo Harold, ma puoi chiamarmi Harry, tu?" Rispose con gli occhi ancora spaventati, ma tranquillizzati dall'interesse del giovane.
Il piccolo Harold non poté non accorgersi degli occhi color cielo dell'uomo davanti a sé, a quanto essi fossero perfetti incorniciati da quei capelli color nocciola. Sembrava un piccolo raggio di sole in una tempesta. Aveva trovato in quello sguardo l'allegria che mancava a tutti. Notò quanto, però, fosse magro.
Le guance scavate del ragazzo si tirarono in un sorriso, mostrando i perfetti denti al giovane Harry.
"Louis" rispose con cordialità.
"Credo tu non sappia niente di questo posto.. Vuoi qualche consiglio?" Riprese.
"Sì, te ne sarei grato" e con questa risposta il giovane Louis si mise a sedere per terra, seguito dal ragazzo dai capelli color fondente. I due giovani erano uno di fronte a l'altro.
"Qui siamo ad Auschwitz. Tutte quelle guardie che vedi in giro odiano noi, non sappiamo perché. Essere ebreo, a quanto pare, non è una cosa bella per loro. Ogni mattina al sorgere del sole ci vengono portati gli avanzi del loro cibo, spesso è solo pane. Anzi, è sempre pane. Secco. Fortunatamente non dobbiamo lavorare, al massimo ci chiamano ogni tanto. Le guardie ci ritengono inutili, infatti tutti i ragazzi che vedi o hanno dei problemi o dimostrano meno di vent'anni. Non dare troppa confidenza a meno che qualcuno non te la chieda, non è mai una buona idea." A ciò il giovane Harry cominciò ad essere più spaventato.
"Quindi, è per questo che siete così magri?" Chiese ingenuamente il piccolo, ricevendo come risposta un cenno.
I due ragazzi parlarono per tanto. Passò una giornata intera, ma a loro sembrava non bastare. Avrebbero parlato per giorni, sia il dì che la notte.
Louis, ormai chiuso lì da un paio di mesi, raccontava com'era la vita lì.
Ed Harry parlava di quanto fosse bello il mondo esterno, ormai dimenticato dal piccolo dai capelli color nocciola.
Gli occhi del giovane brillavano ai racconti di Harold sui suoi viaggi passati e sui posti visitati.
La sera arrivò presto. I due ragazzi decisero che sarebbe stato meglio dormire.
Dormirono vicini, ma senza mai sfiorarsi.
Il pavimento su cui adagiavano era freddo, di pietra. In quel posto non esistevano letti, né tantomento cuscini.
Il piccolo Harry pensò al perché di tanto odio. Ma capì che ad alcune domande non c'è risposta. Louis dormiva beatamente, mentre il giovane gli era grato per avergli donato un sorriso. Lo trovò tenero nel mondo di sogni, finché anche lui stesso non cedette alla stanchezza.

Goodbye My Lover || Larry ||Where stories live. Discover now