Il cuore precipitò nel petto e sgranai gli occhi. «Cosa?! Ma non possono farlo!»

«Sì, invece!» Fabio fece il suo ingresso nel salotto, aveva quello che sembrava essere il nostro contratto tra le mani «Finito di parlare con voi mi sono riletto tutte le scartoffie. Al punto 3.2.3 c'è una piccola clausola: dovevate garantire un lavoro musicale quasi costante per i primi due anni. O altrimenti loro sarebbero stati autorizzati a licenziarvi.»

Elia prese i fogli e diede una lettura veloce. «Cazzo!»

«Ma, non ricordo questa clausola.» dissi pensierosa.

«Quando avete firmato il contratto?»

«Abbiamo firmato il contratto il...»

Mi interruppi, mentre un pensiero folgorante mi trapassava. Avevamo firmato il contratto qualche mese dopo aver vinto il concorso, a ridosso dell'incisione del primo e unico disco che poi avremmo portato in giro per il mondo. In quel periodo era ancora Andrea il manager della band.

Il mio silenzio portò a una conclusione generale.

«Com'è possibile che sia sfuggito a tutti un dettaglio così importante?!»

Quel periodo per me era stato frastornante.

Io e Andrea avevamo cominciato ad allontanarci. Eravamo entrambi nervosi e succubi delle nostre paranoie. Io stavo ancora affrontando la scoperta di essere stata adottata, lui stava affrontando Stefano, il mio ex che continuava a girarmi intorno.

Sarebbe dovuto essere un periodo in cui avremmo dovuto affrontare i nostri problemi insieme, come una coppia che si ama, ma invece non facevamo altro che metterci in discussione e avvelenare il nostro rapporto con scarsa fiducia e sbagli continui e ripetuti, con gelosie infinite e con ossessioni al limite del possesso.

Dovevamo parlare e cercare di risolvere i nostri scontri, invece avevamo permesso ancora una volta alla mancanza di dialogo e di intesa di infilarsi tra di noi, peggio di come qualunque ex abbia mai fatto.

Tutto ciò, come al solito, si riversò sul nostro gruppo di amici, che dal canto loro, cominciarono ad essere stanchi di quella situazione e dei nostri problemi, facendosi per la prima volta da parte.

Era un periodo pesante per tutti, l'ansia per il tour e le alte aspettative si erano appollaiati sulle loro spalle come dei diavoli ghignanti. Avevano i loro problemi e i loro pensieri, non avevano avuto la voglia – e forse il tempo- di sobbarcarsi anche i nostri, lasciandoci affrontare i nostri mostri completamente da soli.

Ho sempre pensato che loro si sentissero un po' in colpa per la china che aveva preso il nostro rapporto. Anche se, in realtà, non era stata colpa loro.

La nostra storia sarebbe naufragata a prescindere.

«Vabbè, quello che è fatto, è fatto.» Fabio interruppe il flusso dei miei pensieri «Devi prendere una decisione.»

«Io..»

Cercai di balbettare, ma la voce mi morì in gola. Ricominciare con i black leather jackets voleva dire lasciare la molla che mi teneva ancora a galla. O almeno così pensavo.

Non mi sentivo pronta a riprendere in mano il microfono, perché quel microfono aveva portato con me Andrea e tutto ciò che era accaduto tra di noi. Anche se una parte di me ne sentiva comunque la mancanza.

Più volte in quell'anno avevo passato in rassegna tutti i nostri momenti, avevo messo su una bilancia i momenti positivi e negativi. Il piatto della bilancia con questi ultimi pendeva pericolosamente verso il basso.

Avevo cominciato ad odiare la mia voce. Perché, paradossalmente, era stata l'artefice della mia disfatta.

A cosa mi avrebbe portato, adesso, riprenderla in mano e avere a che fare con lei una seconda volta?

Come la luna sull'acqua chiara.Where stories live. Discover now