«Inoltre non ci stavamo sentendo o altro.» Buttai fuori. «Era forse l'inizio di un'amicizia, non so...ma comunque non è andata avanti.»

«Mh.» Aggrottò la fronte. «Lo sai che ti conosco meglio delle mie tasche, no?»

Ruotai gli occhi. «Te lo giuro.»

«Non puoi mentire a me.» Disse. «Quello ha fatto qualcosa, ne sono certa. E se non vuoi dirmi cos'è successo davvero, lo accetto.»

Winter era davvero la mia roccia. 

Restammo a parlare ancora un po', finchè il sole non iniziò ad abbassarsi all'orizzonte e il cielo diventò arancione. 

In sella a Stella ripensai a quei giorni. Erano passate quasi due settimane dall'attacco ricevuto nella taverna della Delta e una decina di giorni da quando Seth aveva provato a parlarmi in biblioteca. Già. Se dovevo essere sincera avevo impiegato tutta la mia forza per resistergli e mandarlo via, ma mi dissi che era giusto così. La situazione familiare che avevo era completamente incasinata e non avevo bisogno di sentirmi addosso gli sbagli commessi anche dagli altri, soprattutto perchè non sapevano la verità ma solo quello che volevano credere. Loro cinque non erano diversi da tutti quegli sguardi ricevuti al liceo, dopo il fatto, quei sussurri meschini, quei biglietti lasciati in anonimo nel mio armadietto che mi auguravano le peggiori cose, quella forma d'odio provata solo perchè ero parte di quella famiglia. Odiavo quello che era successo ma non si poteva cambiare il passato, e inoltre, la mia punizione l'avevo già ricevuta. Seth e i suoi amici mi credevano responsabile, cosi come molte persone che avevo incontrato nella mia vita, solo perchè ero sua figlia. E lui poteva ripeterlo quante volte voleva ma anche se non l'aveva detto ad alta voce, me li ricordavo bene i suoi occhi--freddi, colmi di giudizio. 

In quei giorni, però, sentivo un vuoto. Era difficile ammettere che una persona appena conosciuta potesse cambiare così tanto il mio umore ma...era così. Mi piaceva la sua compagnia e il non averla, era pesante. 

Lo vedevo nel campus, in caffetteria, in palestra. Era sempre circondato da qualcuno, dai suoi amici, da qualche ragazza. Non aveva mai incrociato lo sguardo col mio. Sembrava aver preso alla lettera le parole che gli avevo sputato quel giorno in biblioteca. Era ciò che volevo, era ciò che avevo chiesto. Ma non mi piaceva il nodo allo stomaco che avevo ogni volta che lo guardavo, solo perchè non sentivo il pizzicore dei suoi occhi su di me. Era fastidioso. 

Lasciai il maneggio con la musica nelle orecchie. Il primo autobus che avrei dovuto prendere per tornare al campus sarebbe passato tra poco. In sua attesa, scattai delle foto al cielo colorato del tramonto. Quel giorno era molto bello. 

L'autobus arrivò e io salii. Non c'era molta gente per cui mi sedetti ai primi posti. Il tragitto sarebbe stato di una decina di minuti e poi avrei dovuto prendere un altro autobus. Notai che sul punto di chiudere le porte, un uomo salì all'ultimo secondo. I nostri sguardi si incrociarono brevemente e poi guardai fuori dal finestrino che avevo a sinistra. Lui andò dietro. 

La mia playlist dei Coldplay mi tenne compagnia e quando arrivò la mia fermata. Scesi e mi accomodai alla panca della pensilina. Nel farlo mi accorsi che era sceso anche l'uomo di prima. Era di mezza età, vestito un po' trasandato. Restò in piedi contro la vetrata, opposta alla mia, e cercai di ignorare l'aumento del battito del mio cuore. In quella strada a quell'ora, passavano poche macchine e inoltre, era anche domenica. Eravamo solo noi due. 

Iniziai a muovere il piede mentre contavo i secondi passare. Non avrei dovuto attendere tanto per il secondo pullman. Solo cinque minuti. 

Ad un certo punto la canzone che stavo ascoltando si bloccò e abbassai lo sguardo. C'era un avviso del dispositivo che mi avvisava della bassa percentuale di batteria, solo il 15 percento. A quel punto tirai via le cuffie e spensi la musica. Non volevo rischiare di rimanere senza telefono dato che stava iniziando a fare buio. 

Avenging AngelsWhere stories live. Discover now