10. I Want You I Need You Oh God

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🌶🌶

Coraline Pov

"Hai le braccia in cui voglio
morire e gli occhi in cui
voglio abitare"
-Charles Bukowski


«Scendi, tuo padre arriva stasera. Entriamo a casa, ti medico le ferite aperte e quando lui arriva noi usciamo. Ma prima o poi dovrai affrontarlo, non puoi sempre e solo subite stando zitta.»

Lo so, non posso ma devo. Non ho più le forze per combattere.

Mi apre la portiera dell'auto e io scesi. Non mi aspettò, con poche falcate arriva davanti al portone di casa e lo apre con le chiavi che gli diede mio padre.

La casa è completamente in ordine. Nulla è fuori posto. Rappresenta a pieno l'immagine di mio padre. Lo spazio sull'entrata è ampio, il salotto è circondato da uno stile vittoriano ma non c'è nulla di eccessivo.

Oltrepassiamo il salotto e dopo qualche metro ci ritroviamo davanti alle scale che saliamo in rigoroso silenzio.

Mi dirigo verso la mia stanza, ma lui non mi sta seguendo.

«Nella mia.» E senza aggiungere altro, sono nella sua stanza dopo poco.

«Siediti.» E così faccio. Anche la sua stanza è in ordine. Semplice con le tende sempre chiuse. L'unica fonte di luce proviene dagli spiragli delle tapparelle, chiaramente abbassate.

Mi siedo sul bordo del letto a gambe incrociate. Chris sta uscendo dalla stanza senza dirmi nulla. Non so se devo rimanere seduta o se devo alzarmi e seguirlo. Nel dubbio rimango al mio posto, immobile. Se avesse voluto che lo seguissi me lo avrebbe detto. Oppure ordinato. E io molto probabilmente l'avrei fatto.

«Sono andato a prendere il disinfettante. Spogliati.» Senza esitare e senza fare domande, sfilo la maglietta e mi copro il seno con le mani.

«Non ti guardo, puoi stare tranquilla.»

«Lo sono,» non è affatto vero. Sono a mio agio ma allo stesso tempo vorrei rivestirmi e vorrei che non mi sfiorasse la schiena con il cotone impregnato di igienizzante.

«Sentirai un leggero bruciore, ma non ti farà molto male.»

Sussulto e mi poggia una mano sul fianco per farmi stare ferma. Forse per tranquillizzarmi.

La gamba tentenna e trema. È segno di nervosismo. Lo so bene, ma con lui che mi sfiora la pelle di continuo, non riesco a starmene buona e ferma.

«Ho quasi finito.»

Dopo qualche minuto getta il cotone non so dove e mi passa la maglia che avevo precedentemente poggiato sul suo letto affianco a me.

«Grazie.»

«Non serve che mi ringrazi.»

«Va a cambiarti, nel mentre ti preparo qualcosa. Hai pranzato?»

No.

«Si.»

Si avvicina a me e come se ci fosse qualcuno che può sentirti, sussurra: «Stai mentendo. Quando lo fai non mi guardi negli occhi. Distogli lo sguardo per qualche secondo. Lo fai sempre quando non dici la veità. Lo fai anche con tuo padre, o a scuola. Però a me i dettagli non sfuggono mai.»

Dire il contrario non avrebbe senso, perché ha ragione e non mi spiego come l'abbia capito.

«Osservo, non mi limito a guardare.»

Sto zitta senza dire nulla. Non ho molto da dire. Ma penso, penso molto. Penso troppo.

«Hai finito?» Non sento più le sue mani sfiorarmi la schiena.

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