Risalita

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CON quel pensiero nella testa avanzò rapido e guardingo, fino a sfiorare con le mani il fagotto. La vista gli si appannò proprio in quel momento. Allora chiuse gli occhi, cercando di farsi forza per evitare di perdere i sensi. Il gas che aleggiava in quei cunicoli stava incominciando a confonderlo. Quando li riaprì, si ritrovò in mano qualcosa che non somigliava per niente all'involto che aveva creduto di vedere.


Spalancò la bocca per la meraviglia e un caleidoscopio di pensieri confusi gli esplose nella mente. Si dimenticò persino di essere intrappolato lì sotto, dei suoi compagni che forse non c'erano più e della ferita al fianco che continuava a tormentarlo.


Sostò così per un paio di minuti, rigirandosi quella grossa pepita tra le mani e ascoltando il ritmico battito del cuore che gli pulsava nel petto. Quindi rovesciò la testa all'indietro e scoppiò a ridere.


La sua fu una risata talmente forte e personale, che dagli occhi iniziarono a fuoriuscire lacrime calde che scavarono solchi lungo le guance magre e impiastricciate di sporco. E mentre continuava a sghignazzare si rese conto che qualcosa non quadrava. Sulle prime continuò, come se non ci fosse nulla di sbagliato in quel posto. Poi i suoi occhi viaggiarono convulsamente, investigando l'antro buio in cui era capito.


Alla fine capì.


La pepita brillava dell'alone giallo che aveva visto in fondo alla galleria e che l'aveva guidato fino a lì. Anche la venatura d'oro sulla parete di destra rispondeva a quel richiamo luminoso e sfolgorante.


"Ma qui non dovrebbe esserci luce" si disse. "Com'è possibile?"


D'istinto alzò la testa. Sopra di lui vide una spaccatura dalla quale filtrava un debole raggio luminoso. Cadeva obliquo sopra la venatura e si rifletteva come in un fantasmagorico gioco di specchi deformanti sulla pepita.


Vedi, vecchio mio, si ripresentò la vocetta con fare lezioso. Dopotutto avevi ragione. E non mi riferisco solo all'oro. C'è anche un altro ingresso. Questa potrebbe essere la tua unica possibilità per dimostrare che mi sbagliavano, perciò datti una mossa!


Il vecchio obbedì, annaspando in direzione della parete dalla quale si allargava la fessura. Il sudore cominciava a ghiacciarglisi addosso e il cuore era sul punto di esplodere. Si deterse la fronte imperlata di sudore con un rapido gesto del braccio e prese ad arrampicarsi sulle anfrattuosità che gli servivano da precario appiglio.


La risalita non fu affatto facile.


Così come non lo era stata la discesa.


Con il fiato sospeso, obbligò ogni fibra del suo corpo a muoversi nonostante la ferita continuasse a non dargli tregua. Più volte gli scivolò la mano e rischiò di precipitare, salvandosi per un pelo.


Devi continuare, lo incitava la voce. Se molli adesso resterei qui sotto per sempre. Sono stato chiaro?


"Lo so!" replicò lui e si stupì nel ritrovarsi una forza straordinaria nelle dita. Erano come artigli dotati di una presa simile a una morsa. "Non ho nessuna intenzione di rimanere in questo posto! Dunque fai silenzio!"


La sua avanzata si fece sempre più lenta, ma egli perseverò finché vide la cima del recesso che spezzava il cielo appena una mezza dozzina di metri sopra la sua testa. Mentre guardava verso l'alto, una massa indistinta apparve sul bordo. Il cuore gli risalì in gola e la pelle gli si accapponò. Iniziò a gridare, cercando di attirare l'attenzione. La sagoma si fermò un istante e lui fu più che convinto che guardasse nella sua direzione.


Ne ebbe la certezza solo quando sentì una voce gridare: "Venite, fate presto! Ne ho trovato uno. Correte!"


Lottò disperatamente con tutte le sue forze per non mollare la presa. Nessun ostacolo si frappose sul suo cammino, tranne un sasso che rotolò giù colpendolo a una spalla. Accusò un forte dolore che gli fece dimenticare per un momento quello al fianco. Ma a preoccuparlo di più era la polvere e la sabbia che gli stavano invadendo occhi e narici.


Altre voci si sovrapposero alla prima e il vecchio scorse diverse sagome fondersi sopra la sua testa. Ritornò allora con la mente all'esplosione che per poco non aveva rischiato di investirlo. Solo che, questa volta, al posto dell'accecante e silenziosa corolla rossa, c'erano petali di luce fioca e rumorosa.


Ci sei quasi, vecchio mio! Malgrado gli avesse ordinato di tacere, la voce era tornata più forte di prima. Un ultimo sforzo, avanti! Ci sei! Devi solo...


Il resto non lo udì neppure. Socchiuse gli occhi, ormai arrossati e spenti, nell'istante preciso in cui si sentì afferrare da centinaia di mani. Fu come nascere una seconda volta, solamente al contrario. E quando alla fine venne issato fuori, l'aria fresca lo colse del tutto impreparato rischiando di farlo soffocare.


Che strano, si ritrovò a riflettere. Respiravo meglio quando ero là sotto.


Prese a ridere nuovamente in maniera convulsa, mentre gli altri minatori lo adagiavano delicatamente al suolo. Qualcuno rimase a fissarlo interdetto, cercando di capire se non fosse impazzito. Altri gli chiesero cosa fosse accaduto. Lui non rispose. Riaprì gli occhi solo dopo un po' e li osservò uno a uno, passandoli in rassegna sempre con quell'espressione idiota stampato sul volto.


"Avevo ragione" biascicò. "Avevo ragione. Non potevano essere solo delle voci."


"Di cosa stai parlando?" gli domandò uno.


Lui lo contemplò per un lungo momento. Quindi mostrò il pugno nel quale serrava ancora la pepita. L'aveva stretta così forte da riuscire a farsi sbiancare le nocche.


Poi appoggiò la testa di lato, chiuse gli occhi e ricominciò a ridere.


Era vivo.


Fine.


Elaborato nell'anno 2012, durante il Laboratorio di Scrittura Creativa, presso l'Università La Sapienza di Roma.

IL MINATOREWhere stories live. Discover now