Visioni nell'oscurità

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SI rese conto che qualcosa non andava nell'istante preciso in cui avvertì un disgustoso sapore di rame in bocca. La testa gli girava e un profondo senso di nausea aveva iniziato a serrargli lo stomaco. Come se non bastasse, un sibilo acuto gli stava trapanando il cervello.

Rimase disteso nell'oscurità, aspettando che succedesse qualcosa, attendendo forse di sentire le urla dei suoi compagni che erano venuti a cercarlo. Ma quella stessa vocetta di prima, fastidiosa e tagliente, riemerse lenta dalle profondità della sua coscienza, con una frase che lo gettò nel più completo e totale sconforto.

Sono morti tutti, vecchio mio. Nessuno verrà a salvarti. Sei solo.

Scoppiò in un pianto accorato come quando da bambino gli capitava di cadere e sbucciarsi un ginocchio. Lì sotto però non c'era né suo padre, né tanto meno i fagiani che si levavano in volo dal sottobosco. Era completamente solo, proprio come aveva detto la voce, inghiottito dalla montagna e con il suo respiro affannato a fargli compagnia.

Quando i suoi occhi si furono abituati alle tenebre cercò di muoversi, sperando che la sensazione di essere tutto intero non fosse solo un'illusione. Una fitta improvvisa lo colpì al fianco, strisciando lungo la gamba sinistra. Terrorizzato all'idea di quello che stava per fare, scivolò lentamente con le dita lungo la camicia sporca e sbiadita.

Non volle abbassare lo sguardo, ma si limitò a sfiorare il buco che aveva all'altezza del costato.

Quello che sentì lo fece rabbrividire.

Rivoli di sangue caldo gli colavano lungo il fianco fino a inzuppargli il risvolto dei pantaloni. Tutta quella parte del corpo gli bruciava, come se qualcuno l'avesse trafitto con centinaia di aghi acuminati e roventi.

"Non voglio morire!" esclamò, mentre si sforzava di rimettersi in piedi. Come risposta la ferita gli mandò una nuova fitta di dolore, tanto da costringerlo a mordersi le labbra.

D'improvviso qualcosa echeggiò nell'aria. Un riverbero ovattato, più simile ad un lamento, come se la montagna gli stesse parlando. Quasi protestasse per la sua intrusione e gli stesse intimando di andarsene via.

Spaventato e confuso, il vecchio cominciò a contemplare la galleria buia davanti a sé. La torcia era andata distrutta e così si obbligò ad avanzare a tentoni, malfermo sulle gambe e tastando l'aria con le mani per evitare di sbattere.

Di nuovo udì quel rumore, questa volta più nitido. Poi scorse un debole zigzagare di luce gialla. Difficile dire quanto distasse nel buio. Ma invece di rallentare il passo prese ad arrancare sempre più in fretta, cercando di ricacciare indietro il dolore e rantolando per lo sforzo.

Scese sempre più giù, in profondità, come se il coraggio l'avesse abbarbicato in una morsa dalla quale non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.

Il lamento aumentò via via che si inoltrava nella miniera e quando raggiunse una crepa nella parete, capì che proveniva da lì. Era larga appena quanto bastava perché ci si potesse infilare.

"Sicuramente è un animale rimasto intrappolato quaggiù" disse concitato tra sé. "Se è arrivato fin qui dev'esserci per forza un altro ingresso alla miniera."

Sostò davanti alla fenditura a guardare la luce gialla che vi si rifletteva all'interno. Polvere e sassi componevano una ghirlanda intorno alla conca dell'antro. Non appena varcò l'ingresso la luce divenne un intenso brillio dorato. Il suo cuore iniziò a pompare sangue all'impazzata alla vista di quella vena d'oro che attraversa orizzontalmente la parete di destra.

Poi un lampo gli attraversò la mente.

Proprio al centro dell'antro notò qualcosa. Sembrava un fagotto di vecchi abiti luridi e cenciosi, che sulle prime aveva scambiato per una roccia. Ma ora che iniziava a muoversi e a piagnucolare non ebbe più dubbi.

Quel lamento che aveva udito non era il verso di un animale.

Era un vagito.

IL MINATOREOnde histórias criam vida. Descubra agora