Nel sottosuolo

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DOPO un'ora la squadra addetta alla sicurezza si predispose per entrare nella miniera.

Mentre il caposquadra continuava a chiamare i presenti e a impartire gli ultimi ordini, qualcuno aveva affidato al vecchio una gabbia fatta con del filo di ferro.

"Occupatene tu" gli disse. "Fai attenzione, mi raccomando."

Dapprima l'uomo rimase imbambolato a osservare il tizio allontanarsi giù per la discesa dalla quale era risalito. Quindi spostò l'attenzione sulla gabbia che teneva in mano. Dentro c'era un canarino. Era di un giallo accesso, che contrastava fortemente con il colore rugginoso della prigione in cui era stato rinchiuso. Cinguettava di buonumore, del tutto ignaro di quello che gli sarebbe potuto capitare se avessero davvero trovato fuoriuscite di gas.

Tu saresti il primo a finire all'altro mondo, pensò guardandolo attraverso le sbarre. Canta pure finché vuoi. Non credo andrai lontano.

Improvvisamente si ritrovò a rivivere la scena di quando aveva chiesto al caposquadra della presenza dell'oro.

Quelli come te non vivono a lungo in posti come questo, gli aveva risposto. Poi aveva sorriso. E una vocetta fastidiosa, adesso, aveva appena aggiunto: Sei proprio come questo canarino. Perciò fai attenzione.

Scacciò quel pensiero e si decise a entrare nella galleria. Girò la manopola del bruciatore della torcia e notò bruscoli di polvere volteggiare nella luce della fiamma. Illuminò prima una parete di granito, quindi delle casse di legno dove erano stati riposti alcuni caschi. Ne indossò uno con noncuranza e avanzò. Gli altri della squadra presero a seguirlo.

In silenzio giunsero davanti l'entrata del montacarichi. La struttura era vecchia, incassata direttamente in un varco scavato di proposito nella pietra viva. Aveva perso da tempo lo strato di vernice rossa con cui era stata dipinta. In più punti il metallo aveva cominciato a creparsi, lasciando spazio a macchie ossidate dalle forme più diverse.

Il vecchio girò la testa molto lentamente, quasi come se volesse accertarsi della presenza dei compagni. Mentre lo faceva, sentì scricchiolare i tendini irrigiditi del collo. Con un rapido cenno del capo li invitò a farsi avanti.

Non seppe dire quanto tempo impiegò per scendere nelle viscere della montagna. Attese con il fiato sospeso, sperando di sentire il prima possibile la cabina posarsi delicatamente al suolo. Di tanto in tanto il montacarichi sobbalzava e il nervosismo dei presenti si faceva sempre più tangibile. E tutte le volte che accadeva, il vecchio abbassava lo sguardo sulla gabbia, nella speranza che il canarino fosse ancora dei loro. Questi, quasi sentendosi chiamare in causa, alzava il capo e frullava le ali, pigolando allegramente sopra i cigolii e i gemiti della struttura.

Una volta toccato il fondo si rimisero in marcia. Aprendo la fila, il vecchio convergeva il fascio di luce al suolo. Poi lo risollevava, puntando a destra e a sinistra per capire se stesse procedendo nella giusta direzione.

"Ancora niente?" s'informò un tale dietro di lui.

Il vecchio si limitò a guardarlo senza parlare.

"Sono sceso in questo posto chissà quante volte" borbottò un altro, quasi cercasse di farsi coraggio da solo. "ma non mi sono mai spinto così tanto in profondità. Siamo sicuri di non esserci persi?"

Proprio in quel momento il buio vibrò di un cinguettio concitato. Era un rumore che evocava nella mente del vecchio l'infanzia trascorsa andando a caccia con suo padre, fagiani che esplodevano dal sottobosco levandosi in volo quando sparava un colpo in aria. Solo che, adesso, era il canarino che frullava le ali, emettendo pigolii sempre più deboli, sempre più affaticati... fino a quando non si riversò sul fondo della gabbia, morto stecchito.

Un terrore improvviso attraversò gli astanti, mentre l'odore stantio e umido della miniera diventava insopportabile. Esalazioni invisibili che ricordavano l'odore del pesce andato a male presero a sventolare in faccia ai minatori.

"Attenti!" berciò il vecchio. "Tutti fuori! Presto, dobbiamo..."

Non riuscì a concludere la frase. Nella fretta di darsela a gambe qualcuno lo urtò, facendolo finire disteso sul letto di sassi. Nel cadere si lasciò sfuggire di mano la torcia, il cui fascio di luce rischiarò per un attimo l'ambiente intorno: forme amorfe che una volta erano i suoi compagni di lavoro si accapigliavano nella penombra.

Poi la vide.

Compiendo una parabola quasi perfetta la torcia volteggiò in aria, lasciandosi dietro una scia luminosa e vibrante simile alla coda di una cometa. E nel momento stesso in cui il vetro di protezione si andava infrangendo contro il pavimento di roccia, il vecchio ebbe il tempo di domandarsi se valesse davvero la pena morire per un po' d'oro.

La risposta gli giunse nella forma di un'accecante e silenziosa corolla rossa. Il gas aveva preso fuoco, ruggendo in un'esplosione assordante. Dapprima investì gli altri minatori, ancora intenti ad accalcarsi fuori il cunicolo, quindi si riversò sulle pareti della galleria, avanzando come un fiume in piena.

Nell'istante stesso in cui l'onda d'urto lo colpì, il vecchio si abbandonò all'indietro e il suo ultimo pensiero fu per l'oro.

No, pensò. Non ne vale la pena.

IL MINATOREWhere stories live. Discover now