A mettere a tacere il silenzio stesso furono dei passi. Il rumore di un paio di scarpe la cui suola pestava il pavimento con delicatezza, dopo aver aperto la porta della stanza senza farla cigolare. Identificai quella persona solo quando mi affiancò, lasciandosi cadere su una delle sedie libere, e con la coda dell'occhio scorsi le ciocche rosse che fuoriuscivano da una crocchia non più così ordinata.

Lydia, nella sua uniforme bianca, si appoggiò allo schienale duro e trascorse una manciata di secondi trincerata in un mutismo pregno di tensione e mestizia. Intravedevo solo il suo profilo: il capo reclinato all'indietro, aderente alla parete, e lo sguardo perso in direzione del soffitto. Le luci al neon evidenziavano il pallore del suo volto, affaticato da turni interminabili, sottolineando le fattezze di una donna che, giorno dopo giorno, lottava per tenere accese le più fioche speranze.

Su Ava e su di me, per qualche giorno, la sua influenza era stata miracolosa. Eppure, lei era un'infermiera. Non aveva il potere magico di riavvolgere un nastro inciso dalla perfidia del destino, cambiando le sorti di Blake. L'unica possibilità che aveva era quella di lottare fino all'ultimo, più di chiunque altro.

Intrecciò le dita e le fece scrocchiare, liberandosi del fastidio e della stanchezza. Le mani le ricaddero in grembo, sulla gonna che le sfiorava le ginocchia, e scongiurò il nervosismo giocherellando con i pollici. Poi si schiarì la gola, ma io non ero sicura di possedere ancora il coraggio di ascoltare una raffica di verità insostenibili.

«I medici vi concedono una visita fuori orario» mi informò, senza perdersi in giri di parole inutili. Parlò con la voce roca, come se i vocaboli fossero stati intrappolati per troppo tempo. «Hanno deciso di permettervelo perché...» Deglutì, spaventata da ciò che doveva comunicarmi, e abbassò lo sguardo sulle mani congiunte. «Perché ormai è una questione di giorni, Rylee. Se Blake non migliora all'improvviso, ha le ore contate».

Fu diretta, ma delicata al contempo. Non mancò di empatia e adempié al suo compito senza lasciarsi scalfire. Era finito il tempo delle illusioni: più i minuti passavano scanditi da quell'orologio rumoroso, più bramavo concretezze. Della speranza vana, oramai, non me ne facevo nulla.

Non riuscii a guardarla in viso, quindi mi voltai. La luna brillava fuori alla finestra, nel cielo scuro della notte, ma non riusciva a rischiarare le tenebre che si annidarono nel mio cervello all'udire quelle parole. Generarono una fitta nel petto, un dolore che pregai fosse momentaneo, ma che perdurò. Avrei solo voluto strapparmi il cuore e sparire, cessare di esistere.

L'intenzione di correre nella stanza di Blake era palpitante, aveva preso il posto di un cuore troppo stanco e martellava, martellava, martellava fino a dolere. Fu, tuttavia, un istinto in parte egoistico che allontanai, perché la dipartita di quel ragazzo si stava trascinando via la mia migliore amica. Io dovevo sapere dove si trovasse, come la stesse affrontando. Se si stesse facendo del male.

«Dov'è Ava?» domandai, allora, con la voce tremula che si disperse per l'intera sala. Non rivolsi alcuno sguardo a Lydia, perché l'oggetto della mia concentrazione era il vuoto, le pareti, il pavimento. «Dimmi che sta bene, che non ha...»

Un sospiro dell'infermiera al mio fianco bastò a interrompermi. Migliorò la sua postura raddrizzandosi appena sulla sedia e riprese la parola. «Aveva bisogno di un po' di tempo per sé, ma sta bene. Fisicamente, almeno» mi informò. «Ho provato a parlarle... Spero sia servito».

«Tu stai facendo tutto il possibile per noi, Lydia» le assicurai. Un repentino impeto di decisione mi portò a voltare il capo verso di lei, studiando la delicatezza del suo profilo femmineo. «Sei la persona migliore che potesse capitarci in tutta questa situazione».

«Sto facendo degli straordinari solo per aiutare in modo concreto» confessò. «Passo intere notti qui e non sono nemmeno un medico, ma non posso lasciare che Ava perda suo fratello». Scrollò la testa: per lei era impossibile realizzare quell'opzione. «Non posso», concluse.

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