Capitolo 2

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Rylee

Né io, né Ava e tantomeno Lewis riuscivamo a scorgere l'entrata del Rumors, né la sua insegna illuminata. Pensavamo di aver fatto una buona scelta nell'arrivare più tardi del solito, ma la folla gremita davanti ai nostri occhi raccontava un'altra storia: costeggiava l'intera parete laterale dell'edificio.

Sbuffai lasciando cadere le braccia lungo i fianchi; le mie mani sfiorarono il tessuto ruvido dei jeans a zampa. Spostavo di continuo lo sguardo dal marciapiede sotto di me, studiando la punta dei miei stivaletti, alla porta spalancata del locale. Ogni minimo passo nella sua direzione equivaleva a una conquista.

«Dicono che ci si dovrebbe divertire, in discoteca», mi lamentai. Estrassi il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e ne presi una fra le labbra. La accesi.

«Non sono poi così lenti» replicò Ava.

«È passata solo mezz'ora, Lee» aggiunse Lewis.

Capii che uno dei miei più grandi difetti era l'impazienza. Tamburellai sul marciapiede con il tacchetto di uno degli stivali, mentre aspiravo ed espiravo grossi quantitativi di fumo che si dissolvevano nell'aria. L'umidità di inizio estate mi accarezzava la pelle, lasciata in parte nuda dal top all'uncinetto.

Tirai un sospiro di sollievo quando, dopo un altro quarto d'ora, riuscimmo finalmente a mettere piede nella discoteca. Spensi la sigaretta all'esterno prima di entrare, lasciando cadere il mozzicone a terra come un'incivile. Alcuni fasci di luce colorata balzavano da un lato all'altro della pista da ballo principale, e le persone danzavano senza neanche un mero centimetro di distanza a separarle. Era tutto un unico ammasso di corpi, di fronti imperlate di sudore.

Il posto ideale dove avrei voluto trascorrere tutte le mie serate.

Alzai le braccia al cielo e mi lasciai andare in un urlo liberatorio soffocato dalla musica che rimbalzava tra le pareti. Ava mi seguì sorridendo, acconsentendo alla mia volontà di non passare inosservata; Lewis sembrava sentirsi fuori luogo, o forse solo imbarazzato dalla presenza della mia amica. Nonostante questo, però, sapeva come divertirsi.

Io e la mia amica iniziammo a ballare lasciandoci guidare dalla musica. Visti dagli occhi altrui, i nostri corpi che strusciavano l'uno contro l'altro mentre cantavamo a squarciagola potevano ingannare e alludere a una coppia. In realtà, eravamo solo due amiche dal carattere troppo simile per essere nascosto, da esternare in ogni occasione.

Nella confusione, persi Lewis di vista. Lo rividi solo quando si riunì a noi, con la camicia azzurra sbottonata sul petto, il ciuffo biondo spettinato e la montatura sottile dei suoi occhiali che si sposava perfettamente con i suoi lineamenti delicati.

«Mie signore» ci lusingò, porgendoci due drink contenuti in bicchieri così gelidi da essere ricoperti di condensa, che ne rendeva la superficie scivolosa.

«È alcolico?» gli chiese Ava, urlando per farsi sentire.

Lewis annuì.

«Non bevo» replicò lei, restituendogli il bicchiere.

Assaggiai un sorso della bevanda, e un forte gusto di limone si disperse nella mia bocca. Il mio palato ne ebbe la conferma: si trattava di un gin lemon in piena regola. Sentii l'alcol bruciare giù per la gola, mandandomi in fiamme. Nemmeno io ero abituata a bere, ma mi concedevo uno o due bicchieri in serate come quella.

«È buono, Ava, provalo» invitai la mia amica, indirizzando la mia cannuccia verso di lei. Eravamo così vicine che sarebbe bastato sussurrare per sentirci, spinte l'una contro l'altra dalla folla intorno a noi.

«Non amo l'alcol» si giustificò sorridendo.

Non insistetti e continuai a ballare, prendendo un sorso alla volta dal bicchiere già mezzo vuoto, alternando la bevuta all'ondeggiamento dei fianchi. Cantai ogni canzone parola per parola, perché io e i miei due amici, ormai, solevamo frequentare feste come quella. Ciò che distingueva quella notte dalle altre era, però, il mio compleanno.

SEMICOLONWhere stories live. Discover now