Capitolo 13

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Tris

Mi sveglio. È mattino presto. Ricordo vagamente quel sogno e sento il bisogno di parlarne con qualcuno nascere tutto a un tratto dentro di me.

Decido di essere in grado di andare un po' in giro per la residenza. Mi faccio una doccia veloce, infilo un giacchetto e vestiti relativamente pesanti, poi indosso le scarpe. Le trovo vicino al letto, segno che Amar ha parlato con qualche medico e mi fa uscire.

Trovo un biglietto sulla porta della mia camera. Fa' il tuo dovere, Tris. Non è firmato, ma so per certo che è di Amar. Prendo coraggio e lascio la stanza, diretta dove mi porteranno i piedi. Non sono sicura di riuscire poi a trovare la strada per tornare, ma ostentare sicurezza mi fa salire la voglia di scoprire qualcosa della residenza.

Scendo lentamente le scale, dopo aver visto che il piano dove mi trovo ora non offre niente più di qualche stanza chiusa uguale in tutto e per tutto alla mia: persone attaccate a macchinari ronzanti con pochi infermieri qua e là.

Mi blocco sul terzultimo gradino, fissando con desiderio crescente la porta socchiusa che dà sull'esterno. Chiudo un attimo gli occhi, acuendo il mio olfatto. Posso quasi sentire il profumo dei fiori, i prati verdi e le distese intorno a me. Vedo una ferrovia, un treno che mi trasporta da qualche parte, lontano da qui.

Scuoto lentamente la testa, tornando al presente. Scendo ancora e sfioro il piano terra. Qui, senza doverci neanche pensare, mi avvio verso destra. Ci sono altre camere simili alla mia. Mi avvicino a una di queste. Riconosco il suono del pianto. Quella è la stanza di Quattro. Faccio un respiro profondo e spingo la porta, sperando che non sia troppo scosso per poter parlare con me.

Tobias

Sento la porta aprirsi. Ti prego, non di nuovo, penso. Non posso sopportare un  altro sogno come quello che ho fatto poco fa. Alzo la testa di scatto, incontrando gli occhi spaventati di Tris. Trovo coraggio, parlo prima che lei possa giudicarmi di nuovo un assassino.

-Ti prego, perdonami.- la imploro sussurrando, le lacrime che scendono ancora copiosamente. –Non ho mai voluto fare del male a Uriah. Volevo proteggerlo, ma non ci sono riuscito.-

Finisco le parole e mi getto di nuovo sul letto, con le ginocchia a terra e le braccia poggiate sul materasso. Sento Tris avvicinarsi e sedersi accanto a me, lasciandosi cadere lentamente in ginocchio. Mi posa una mano sulla spalla e parla con quella sua voce dolce e rilassante.

-Va tutto bene.- cerca di rincuorarmi. –Qualsiasi cosa sia successa, ora sono qui. Possiamo parlarne, se vuoi. Non tenerti tutto dentro, altrimenti prima o poi il fardello diventerà troppo pesante da reggere.-

È già troppo pesante, penso, ma tengo quella riflessione per me. Non trovo parole, quindi mi abbandono a lei, cingendole la vita con le braccia e posando la testa sul suo petto. Il suo battito regolare, pian piano, stabilizza anche me. Mi passa ripetutamente una mano sulla schiena, accarezzandomi con fare protettivo, e quel gesto ha il potere calmante di una bella botta in testa.

Passa qualche secondo, o forse minuti interi, ma alla fine riprendo un po' di forza e mi alzo a sedere. Le parlo, senza però trovare la forza di guardarla negli occhi.

-Non è un sogno, vero?-

Lei scuote lentamente la testa. Devo sembrarle uno stupido, ma ho un enorme bisogno di sentirmi dire che sono sfuggito a quell'incubo in cui si sta trasformando la mia vita. -È tutto reale. Io sono reale.-

Annuisco, sentendomi almeno in parte soddisfatto di quella risposta.

-Guardami.- mi sussurra lei.

Scuoto la testa. Non voglio leggere l'odio nei suoi occhi ancora una volta.

- Quattro, guardami.- insiste lei con dolcezza, tirandomi su il mento con una mano fino a incontrare i suoi occhi. Sento una scarica d'adrenalina percorrermi tutto il corpo mentre lei mi sorride. –Vieni, sediamoci sul letto.-

Mi aiuta ad alzarmi in piedi, poi mi adagia dolcemente sul letto, sedendosi poi accanto a me. Mi prende una mano nella sua, tanto piccola eppure tanto confortante.

-Ne vuoi parlare?- mi chiede dolcemente.

Il suo tono delicato mi spinge a raccontarle tutto d'un fiato il mio sogno. Le racconto tutto, da quando Amar mi ha riferito la perdita di Uriah, a quando nel sogno lei, Zeke e Hana se ne sono andati dalla mia camera, ripugnanti del mio comportamento nient'affatto intrepido.

Alla fine prendo fiato, scoprendo i miei polmoni senza più ossigeno. Reprimo l'impulso di gettarmi ancora tra le sue braccia, quindi mi cingo da solo la vita con le braccia.

Lei aspetta un attimo che io mi sia calmato, poi prende a parlare con voce melodiosa. –Non è facile dimenticare certe cose, soprattutto se queste ti hanno impressionato in modo negativo. Ognuno nella sua vita vive momenti felici e momenti tristi. E sono proprio questi ultimi che formano meglio le persone. Perché la felicità, a mio parere, non è altro che la forma più dolce del dolore. Ed è proprio questo dolore che ci tempra, che ci rende quello che siamo. Ci fortifica, ci rende migliori. È vero: talvolta si impiega più tempo a cancellare un evento negativo che uno positivo. A volte, per smettere di soffrire per una perdita, si impiegano mesi, forse anche anni. Altre volte, invece, non basta una vita intera per cancellare un solo ricordo. Eppure questi sono parte della nostra vita e dobbiamo imparare a trarre sempre il meglio da ciò che ci capita.-

La guardo per un momento, ricordando uno dei tanti motivi per cui mi sono innamorato di lei: riesce sempre a dare consigli, a tirare su il morale anche quando la situazione sembra essere irrisolvibile. La ringrazio e lei si stringe nelle spalle, arrossendo un po'.

Rimaniamo in silenzio per qualche altro minuto: io penso e ripenso a ciò che mi ha appena detto, ponderando ogni singola frase. Certo, magari non ricorda ancora nulla del suo passato, della guerra, delle perdite... ma so che in fondo al cuore c'è qualcosa che la spinge a parlare in questo modo. Magari un ricordo offuscato di ciò che ha vissuto.

È anche vero, però, che tutti sono in grado di dare consigli e conforto al dolore che non provano in prima persona, ma sono sicuro che Tris si sia comportata in questo modo solo per aiutarmi, come del resto ha sempre fatto fin da quando ci siamo conosciuti per la prima volta.

Alla fine ritrovo un po' di serenità grazie al suo discorso di conforto. Il senso di colpa è ancora vivo dentro di me, ma grazie a lei ora mi sento più tranquillo, come se la mia vita, in fin dei conti, contasse qualcosa. Mi prendo qualche attimo per cancellare dal viso i segni del pianto e riacquistare un po' di fiducia in me stesso.

-Ti ringrazio, Tris.- le dichiaro dopo un po'. –Ne avevo davvero bisogno.-

Lei annuisce di nuovo. Tra noi cala il silenzio ancora una volta. Ma non è imbarazzo; è solo l'inizio di qualcosa di più grande e potente.

Gocce di memoria (Divergent)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora