45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)

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I miei muscoli pelvici erano così stretti intorno a lui che ne avvertivo ogni centimetro muoversi dentro di me, avrei quasi potuto indovinarne la mappatura delle vene e delle protuberanze, in una riproduzione fedele.

Osò di più, con una spinta furiosa che mi strappò un grido soffocato, ma che non stimolò né la sua preoccupazione né la sua pietà.

Trevor alzò il busto e mi prese per i fianchi, alzando i miei glutei dal materasso e sfruttando il mio corpo per dare maggiore vigore a ogni urto, ogni penetrazione era uno schianto tra corpi: il suo mastodontico, il mio trascurabile, eppure resistente.

Il rumore del suo corpo contro il mio mi riempiva le orecchie: schiocchi che parevano schiaffi, con i quali condividevano la crudità del gesto.

Ero in balia di quegli eventi, della sua volontà incontrastabile, del suo bisogno implacabile, mi lasciavo afferrare per i fianchi, le sue dita che artigliavano la mia carne delicata, la sua penetrazione quasi cruenta che pareva in grado di spingermi il cuore in gola, mentre i polmoni ricevevano colpi che assorbivano a fatica, togliendomi fiato, rubando ossigeno al cervello.

Il sangue mi fluì tutto alla testa, avvertii la vampata di calore spandersi nelle guance, ero stordita, e mi arresi ai segnali contradditori del mio organismo che implorava una tregua da quel bombardamento ma ambiva a un'eterna prosecuzione di quel tormento di piacere e dolore.

Si sfilò da me così in fretta e così improvvisamente che quasi non me ne resi conto, mi voltò a carponi e il mio corpo aveva smesso di obbedire ai segnali del mio cervello per eseguire gli ordini impartiti dalle mani calde e severe di Trevor.

Sentii il suo petto confortante stendersi sulla mia schiena e quasi mi commossi nel sentire di nuovo la sua voce accarezzarmi le orecchie e il suo alito rincorrere i miei capelli.

«Sei il mio sogno di carne, bambina: così stretta da togliere il fiato, così piccola da poterti rigirare come voglio e raggiungerti in ogni modo possibile.»

Avrei voluto rispondere qualcosa, qualunque cosa, ma ogni atomo d'ossigeno aveva abbandonato il mio cervello, schiantato fuori dai colpi crudeli e irrinunciabili del suo bacino contro il mio inguine arrossato, quindi usai la lingua non per parlare, ma per avvinghiare la sua, unico gesto in cui avevo speranza di dominarlo in qualche modo, placare la sua travolgente necessità di prendermi.

E baciarlo mentre mi dominava da dietro mi piacque fin quasi alle lacrime, e il mio gemito compiaciuto che morì soffocato nella sua bocca lo gratificò ancor di più. Prese il controllo di quel bacio e la sua bocca asserragliò la mia, persi anche quel round e mi abbandonai anche a quella sua conquista, ormai complice della mia stessa disfatta.

Avvertivo la minacciosa erezione di Trevor premere sulla schiena, apparentemente pronta a trafiggermi, pulsante e bramosa, sempre meno paziente nell'attendere che quel bacio conoscesse una fine gloriosa.

Trevor abbandonò con languida lentezza la mia bocca per impreziosire le mie spalle e la mia schiena con piccole gemme di saliva, generosamente regalate dalla punta della sua lingua. Mi morse il collo con famelica decisione, mi parve quasi di avvertirlo ringhiare sommessamente mentre affondava i denti nella mia pelle, e ancora una volta dalla gola mi sfuggì lamento così lascivo e osceno che sono certa avesse gonfiato il suo uccello e il suo ego contemporaneamente.

Mi passò le dita in mezzo alle gambe, aprendo le ali che racchiudevano il mio fiore violato.

«Sembri pronta per accogliermi di nuovo, mmh?»

Non risposi nemmeno, troppo occupata a gestire la respirazione senza andare in apnea, limitandomi a un cenno della testa che poteva voler dire tutto e niente. Trevor decise che voleva dire "sì, cazzo, prendimi!".

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