38 Niente di male a sanguinare un po'

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«Vuoi solo me e Dimitri o anche gli altri?»

«Mi fido di te, fai come vuoi.»

«Allora ci si vede tra quattro ore... scendi con le mutande addosso.»

«Andrey, vaffanculo.»

Riattaccai, sollevato. Un po'. Tentennai nell'appoggiare il dito sul tasto di spegnimento del cellulare. Cercai di ricordare l'ultima volta che lo avevo spento. Realizzai che non era mai accaduto. Quando sul display comparve la scritta "goodbye" mi colse un'ondata di ansia.

Non ero raggiungibile dai miei soci d'affari. Non ero raggiungibile dai miei collaboratori. Non ero raggiungibile dai miei legali.

Invece sì. Lo ero. Quindi mi feci inseguire dall'ansia fino allo studio, e spensi gli altri due cellulari, poi spensi il wi fi e la connessione dati del tablet e dei portatili.

Ecco. A quel punto non ero più raggiungibile da nessuno. Nemmeno da Sebastian. Nemmeno dai Volkov.

Mi si contorse lo stomaco, come se avessi appena sganciato una bomba atomica.

«Trevor, hai la faccia che avevo io la notte prima della maturità.»

E Lea era lì, con una mano sullo stipite. I suoi capelli non erano né umidi né bagnati: erano fradici. E il suo corpo non era né bello né meraviglioso: era irresistibile. E il suo sorriso non era né splendido né ineguagliabile: era divino.

E io? Io non ero né cotto né innamorato: ero completamente andato, porca puttana.

La guardai e l'ansia se ne andò a fanculo. Sorrisi e non mi fu difficile.

«Ciao bambina, pensi di asciugarti quei capelli prima di ammalarti?»

Fece qualche passo avanti, e l'ansia se ne andò a fanculo ancora più lontano. Indossava una tuta troppo grande ed era la creatura più sexy e travolgente su cui avessi mai appoggiato gli occhi.

«No. È estate.»

«Non è più estate da due giorni, Lea.»

«Il calendario è inaffidabile come l'oroscopo. Fa ancora caldo e io non mi asciugherò i capelli con un dannato phon.»

«Almeno legali, abbi riguardo per quel collo che vorrei prendere a morsi.»

Nell'aria vibrò la sua risata. Non ricordavo più cosa fosse l'ansia. «Non ti arrendi mai, Trevor Baker?»

Mi ero già arreso. «Sai cucinare, bambina?»

Scosse la testa. Figurati, era già tanto se sapeva aprire una scatoletta di tonno. Che poi non finiva.

«Tagliare le verdure?»

«Quello sì. Dei bei pezzettoni grossi e irregolari, che non andrebbero bene nemmeno per un minestrone.»

«Andranno bene per noi.»

***

Cucinare mi piaceva, ma non lo facevo quasi mai: non ne avevo il tempo ed ero continuamente in viaggio. Eppure per me era come andare in bicicletta: mi veniva spontaneo ricominciare a improvvisare pietanze anche dopo mesi trascorsi senza stringere il manico di una padella. Mi aveva insegnato mia madre, che da brava cittadina americana figlia di immigrati italiani sapeva cucinare meglio di quanto sapesse cantare l'inno nazionale statunitense.

Lea non provava amore per il cibo, la vedevo gestirne il conflitto anche mentre sbucciava le carote, trattandole come se fossero torturatrici di cuccioli indifesi.

«Che ti hanno fatto di male quelle povere verdure?»

Alzò lo sguardo dal tagliere con la fronte aggrottata. «Dovrei coccolarle mentre le faccio a fette?»

PRICELESSWhere stories live. Discover now