Capitolo 5

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Molte storie hanno un buon inizio, una trama e un passato memorabile, e Meira, da lettrice appassionata, avrebbe voluto leggerle tutte, sapere tutto della vita di tutti i personaggi, piamgere e gioire insieme a loro. Ma la sua storia, invece, finì quando sua madre: alta e rispettuosa – da come le aveva raccontato Calix – decise di metterla al mondo e sparire prendendo con se anche suo padre. In quel momento, la storia cambiò la trama della sua vita, perdendo nell'abisso ignoto coloro che avrebbero dovuto raccontargliela.      
       Un suono calmo arrivò alle sue orecchie e non era la musica che proveniva dal basso e nemmeno le voci degli invitati nel cortile. Era una melodia che portava la sua attenzione in un altro mondo, fuori dalle mura e dai confini di Viridian, oltre la terra e il cielo. Era un canto che intorpidiva i suoi sensi, alterando ogni tentativo di muoversi, facendole dimenticare tutte le emozioni e tutti i ricordi mentre le sue orecchie restavano incantate dal suono soave della voce di un gruppo di donne potenti e pericolose.        
       <<Sono le Yele.>>
       Ophir sapeva benissimo identificarle. Le conosceva e sapeva come erano fatte da quando furono state anche loro covocate a partecipare alla guerra. <<Tieni.>> Aggiunse e le diede l'anello che girava tra le dita prima di alzarsi dal letto e stare a piedi nudi sul pavimento in legno della stanza. <<Ophir non viene nel bosco con te.>> Decise e sparì in un attimo come se avesse paura, come se non volesse restare nemmeno in camera sua ad ascoltare le melodie della festa al castello.
       Ora c'era silenzio.
       Niente e nessuno fiattò ma in quella pace, una forza estranea aprì largamente le finestre e un vento insolito entrò con fischi assordanti nella sua stanza.
       Infilò l'anello sull'indice quando si affrettò a chiuderela trifora ma un gruppo di pipistrelli, neri e agitati, fecero a gara per entrare nella sua camera e girare in fretta e furia intorno al suo corpo impaurito.
       Cercò di allontanarli muovendo le braccia all'aria e nessun volatile semrava ritornare fuori. E un senso di rabbia che bolliva dentro le sue vene la travolse senza preavviso, quando subito sentì una stretta intorno al suo dito, talmente forte che lo fece diventare quasi viola.
       La pietra rossa soprastante l'anello si illuminò e l'argento di cui era composto iniziò a stringere ancora di più, quasi prendesse vita.
       Il dolore le trasmetté scosse lungo il suo braccio, propagandosi lungo la sua colonna vertebrale arrivando fino in punta delle dita dei piedi, che la fece cadere a terra, coprendo la sua testa con le mani mentre cercò di togliere con forza l'oggetto.
       Non seppe cosa stava accadendo. Non capì da dove arivassero tutti quei pipistrelli e quel vento freddo che prima non c'era, e non sapeva perché quel dannato oggetto, strigeva con così tanta forza il suo dito, formando un segno rosso fuoco sulla sua pelle.
       Serrò la mascella e trattenne un urlo di dolore quando finalmente sfilò e lanciò lontano da lei l'oggetto d'argento surriscaldato. Trovò la forza per alzarsi in piedi e prendendo un cuscino dal suo letto, allontanò in fretta i pipistrelli, mandandoli fuori dalla finestra dalla quale sono entrati.
       Strizzò gli occhi mentre sfiorò lentamente l'ecchimosi violacea intorno al suo dito e poi, la porta di camera sua si aprì quando una serva del castello consentì di entrare. <<La granduchessa Zelda la vuole nell'atrio immediatamente.>>
       A quel punto si chinò a sinistra verificando l'orologio sulla parete: era giunta l'ora di andare nell'Erast e lei, dopo questo spavento, non fu ancora pronta ad affrontare il rischio di incontrare le streghe.
       E timorosa rispose: <<Ora scendo.>>
       La serva le trasmesse un caloroso sorriso dopodiché chiuse la porta lasciando la principessa di nuovo nel silenzio di camera sua, nella quale ormai sembrava nulla fosse successo. Tutto era normale tranne che l'anello brillante nell'angolo della stanza.
       Quando si avvicinò la pietra, che prima sembrava avesse preso fuoco, era di colore rosso scuro mentre al tocco non sembrò più scottante anzi, era di un freddo tenebroso come se fosse stato messo nel ghiaccio dell'isola Fedrine. Lo stesso freddo nel quale dovrà stare fino all'alba, quando il rito delle Yele sarà finito.
       Sono una specie di streghe che si riuniscono solo quando la loro sovrana le chiamano per unirsi alle loro sorelle maliarde per la celebrazione della luna e della foresta. Questo specifico rituale accade in certi periodi dell'anno e questa è la prima volta in cui la celebrazione delle streghe, si effettuata insime alla Festa della Requie.
       Yele.
       Un nome che dall'apparenza sembra innocuo ma che solo coloro che le hanno viste sanno come sono fatte veramente perché la maggioranza se ne innamoranno dalla loro bellezza tanto da uscirne dal bosco solo morti, maledetti, con traumi fisici e psichici per quanto hanno provato ad affrontare le loro voci ingannevoli.
       Prima di scendere, mise l'anello nel cassetto della specchiera e prese una candella che mise nel tascapane attorno alla sua vita.      
       Il granduca Aldrich stava nell'atrio insieme a tutti gli invitati del territorio e accanto a lui, la Sua Maestà il re Sales che, arriva dai glaciali di Fedrine insieme alla sua famiglia. Ma in tutta quella folla, nessun invitato sembrava badare a lei ed era ovvio: le sue gambe non erano coperte dal lungo abito ceremoniale e il suo collo non era addornato di perle e collane preziose che abbellivano il look principesco. No. Meira invece si trovava meglio ad indossare i suoi comfortevoli vestiti. I pantaloni neri ben puliti e stirati che davano una bellissima forma alla sua gamba scolpita, e la camicia bianca in lino che scivolava sopra la sua pelle di seta, mentre i suoi capelli luminosi erano raccolti nella solita treccia che giocava libera sulla sua schiena.   
       <<Eri qui!>> Disse la donna dai capelli rossi e boccolosi, tirandola per il polso e spostandola in un'angolo della sala in cui nessuno le potevano vedere.  <<Avresti dovuto uscire nel cortile, sai bene che se qualcuno ti avesse vista con  questi ridicoli indumenti, mi sarei rovinata l'immagine per sempre.>>
       Da quando conosce sua zia, ha sempre fatto attenzione al modo in cui si vestiva ed ogni volta che indossava qualcosa in cui si sentiva bene, a lei non piaceva e cercava in tutti i modi di nasconderla agli occhi degli altri.
       Si fermarono nell'ombra di della colonna e Zelda smise di parlare, la guardò negli occhi con aria confusa e Meira non capì perché. Ma dal modo in cui il suo sguardo scivolò su tutto il suo corpo, un sorriso le compare sul viso e lei capì che qualcosa non va.
        <<Dimmi che vuoi?>> Interrompe la principessa.
       Il suo vestito rosso e lungo fino in punta delle dita, cucito con fili d'oro e abbellito con piccoli cristalli bianchi, trascinava sul pavimento del androne mentre di nuovo, come se le facesse piacere prenderla per mano e toccare la sua pelle calda, la portò senza dire niente nel cortile.
       Guardò con schifezza la candella bianca tra le sue mani prima di dire: <<Non hai bisogno di questo.>> Tirò via l'oggetto facendolo volare nella siepe tagliata il giorno prima e Meira fece per andare a prenderla quando la granduchessa la fermò serrando la mascella. <<Tornerai fino all'alba con quella erba magica. E non avrai bisogno di nessuna fonte di luce, se vuoi entrare nel bosco innosservata.>> Fece una piccola pausa. <<Non manderò nessuno a cercarti nemmeno se non dovessi ritornare in tempo, perché non metto nessuno del mio castello a rischio solo per trovare una povera sbadata come te.>>
       <<Allora vacci tu.>> Disse rivoltata <<Mettiti a rischio per il tuo popolo, o non è questo il tipo di sacrificio che dovrebbe fare una granduchessa abile di indossare la corona?>>
      <<Tu sei nessuno.>> Digrinò i denti puntando la sua unghia lunga e rossa contro il petto di Meira <<E niente mi può comandare o mi può ordinare di fare qualcosa contro la mia volontà, né tanto meno tu povera abbandonata. Qui io comando e faccio le regole e nessuno mi ha mai detto di sacrificare la mia povera anima per questo impero debole e frantumato. Qui chi comanda sono io e lo sarò per sempre perché nessuno mi può fermare. Ora vai via e vedi di portarmi quello che ti ho chiesto morta o viva che sarai.>>
       La guardò con disprezzo prima di alzare il suo abito e ritornare furiosa all'interno del castello, ma il sentimento che aveva nei confronti della principessa non poteva mai essere identico all'odio che Meira portava nei suei confronti.
       Quindi contro il suo resentimento e furia di vendetta, lasciò che uno dei portieri le apra il cancello e prese un respiro profondo prima di mettere piede fuori dal castello.
       <<Signorina!>>
Si girò mentre stringeva nelle mani la stringa del tascapane e sorrise verso il signore che le si avvicinò a grandi passi. E quando fu davanti a lei, le porse un fischio nel palmo delle mani per poi stringerle il pugno nelle sue mani.
       <<Questo l'ho rubato dagli addestratori dei cavalli.>> Le disse quasi vergonandosi di quello che ha fatto. <<Ti prego non dirlo alla granduchessa e fischia se incontri qualcosa, io dovrei stare di guardia all'esterno del castello sta notte quindi riuscirei a sentirti senza nessun problema.>>
       Calix ha sempre cercato di prendersi cura di lei come fosse sua figlia e questo suo gesto la fece commuovere a tal punto da pensare che se non dovesse farcela sta notte, lui sarebbe l'unico a soffrire fino alla fine dei suoi giorni.     
       <<Ne farò buon uso.>> Lo calmò e partì subito verso la foresta pregando il Caelum di aiutarla ad uscirne viva.

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