3. millefoglie (parte 1)

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«Famme capì,» Luna aveva lanciato un pacchetto di patatine al migliore amico, ch'era riuscito a prenderlo al volo seppur fosse stato colto alla sprovvista. «sei qua da poche settimane e c'hai già na sbandata per un tuo superiore?»

Si trovavano al supermercato, a far la spesa per una casa in cui Simone sapeva già che l'amica si sarebbe poi da subito messa comoda, rovistando nella sua cucina come fosse stata di sua proprietà.

Il loro rapporto era fatto così: si conoscevano da così tanto, ormai, che le consuetudini di buon comportamento s'annullavano nell'istante stesso in cui incrociavano lo sguardo.
Lei sfruttava casa sua come fosse stato un hotel aperto al pubblico e lui la usava come psicologa d'amore e di vita, raccontandole le sue disavventure e chiedendole consigli dove da solo non riusciva a destreggiarsi.
Ch'era di per sé un perfetto accordo tacito che avevano sancito nel corso degli anni, anche se alle volte si trovavano a battibeccare perché lei lasciava troppo disordine o perché lui se ne lamentava senza sosta - un perfetto accordo, insomma, che però li faceva unire sempre di più a ogni litigio che condividevano.

«Non è un mio superiore, ha praticamente il mio stesso ruolo... cambia solo l'etichetta.»

Si conoscevano dai sedici anni, erano andati in classe assieme e col tempo erano diventati così inseparabili che neppure la lontananza di Simone - per trasferirsi e lavorare in Francia - li aveva divisi, visto che la ragazza capitava spesso nella sua città per andare a trovarlo e viceversa lui a Roma, per far visita a Luna e alla sua famiglia — una famiglia ridotta in pezzi, ma pur sempre la sua famiglia.

«Tu fai l'aiuto-cuoco e lui è capo chef, è un tuo superiore.»
«Non cambia niente.»
«Cambia.»

Quando s'intestardivano su opinioni opposte, era impossibile farli incontrare in una via di mezzo. Ma era anche questo ciò che Simone apprezzava della loro amicizia: era priva di menzogne, diretta e senza filtri; se aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che stava sbagliando, sapeva a chi rivolgersi.

«E cosa pensi che dovrei fare?»
«Penso che dovresti lasciar stare, - Simone la guardava parlare, poggiato con le braccia sul carrello, nel portarlo placidamente avanti con loro - che te basta andà là fuori e te trovi la fila di ragazzi che ti vorrebbero.»

L'amica continuava a buttare cose nel carrello senza un'organizzazione precisa e lui glielo lasciava fare, ché tanto non s'erano neppure scritti una lista precisa e quella sera sarebbe stata l'opportunità per svagarsi con qualche birra e cibo spazzatura scelto sul momento.

«Peccato che non me ne piaccia nessuno.»

Erano tutti troppo impostati, troppo disponibili, troppo pressanti, troppo rumorosi. E a Simone serviva una pausa fatta di silenzio e dettagli delicati da sfiorare, in mezzo a quel caos ch'era già la sua vita - Manuel sembrava la combinazione perfetta di parole e gesti, d'enigma e scoperta, tutto ciò che cercava racchiuso in un'unica persona dal carattere indecifrabile.
O forse era solo attratto dalla continua conquista che si stava rivelando, ma quello non l'avrebbe detto ad alta voce, non all'amica lì presente.

«Non te stai manco sforzando pe cercà.»
«Perché non mi va.»

Fatto sta che s'era ormai già distratto, con lo sguardo dritto davanti a sé e le parole della migliore amica a perdersi tutt'intorno a lui, mentre osservava la figura d'un ragazzo a parlare e gesticolare accanto a un'altra ragazza, perdendosi in risate e catturando dagli scaffali pacchetti casuali quasi senza neppure farvi particolare attenzione.
E se gli avessero detto prima che quel ragazzo, senza grembiule e con addosso solo una felpa e un paio di jeans, fosse così estroverso all'esterno della cucina, Simone era sicuro che non ci avrebbe mai creduto.

déjà-vu de saveursWhere stories live. Discover now