14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.

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Sorrisi, portandomi un boccone di pollo alla bocca. La lingua di Denis sapeva essere avvelenata quanto la mia, all'occorrenza.

Baker acquisì la sfida, senza scomporsi.

«A essere onesti le avevo appena causato una crisi isterica, si era pugnalata una mano con un pezzo di vetro e, per finire, le avevo rivelato che posso vederla in ogni frangente della sua esistenza, a parte quando se ne sta seduta sul cesso.»

Denis si voltò verso di me, apparentemente sereno, la bocca ormai ripulita e non particolarmente gonfia. Guardò me, rispondendo a lui.

«Tutte cose che l'avranno sicuramente fatta incazzare, signor Baker, ma ben lontane dal destabilizzarla più di tanto.»

Inghiottii il secondo boccone con molta meno fatica. Fu il rumore sordo del pugno di Trevor sul mio tavolo a separare il mio sguardo da quello di Denis, ma non bastò a spegnere il nostro sorriso complice.

«Ti destabilizzo io a suon di pallottole, stronzo. Lea conosce già le regole, ma mi vedo costretto ad aggiornare la lista. » Tornò a voltarsi verso di me. La rabbia gli deformò il volto, senza offuscarne il fascino. «Devi rispondere ai miei messaggi entro tre minuti Lea, è chiaro? E alle chiamate entro il terzo squillo. E devi obbedire, Cristo! Smettila di aggirare gli ordini, di fare di testa tua, di calpestare i confini per vedere cosa succede. Perché te lo dico già, cosa succede, piccola stronza. Ce la prendiamo con il frocetto, e poi ti devi trovare un altro coglione che ti compra i cioccolatini, perché te lo restituisco a pezzi sparsi dentro i sacchetti del freezer. Sono stato chiaro, Lea?»

Mi ero aspettata qualcosa di molto simile, in effetti. Avevo colto la situazione nel momento in cui Trevor se l'era presa con Denis usando le scarpe, anziché un'arma.

«È chiaro» borbottai, imbronciata. Ero incastrata nel gioco di Baker, non c'era molto che potessi fare da lì al sabato successivo.

«Stai preparando la password per sabato? Perché cazzo non ti vedo lavorare a quella roba, Lea?»

Mi avventai sulla forchetta per prendere tempo prima di rispondere. Sentivo lo guardo interrogativo di Denis pungermi la guancia, quello infuocato di Trevor mitragliarmi, quello incazzato di Andrey prendermi a pugni. Quando ebbi inghiottito e bevuto senza che nessuno dei tre mi avesse incenerito con gli occhi, detti voce alla verità.

«Perché l'incognita dinamica non può essere calcolata nel weekend. Posso iniziare da domani sera.»

Trevor si appoggiò pesantemente allo schienale, mantenendo una postura comunque composta. Era insopportabile quella sua capacità di risultare impeccabile anche senza sforzo.

«Porta a casa il frocetto» ordinò ad Andrey, senza alcuna inflessione nella voce.

«Non esiste che io la lasci da sola con te » si affrettò a rispondere Denis, stringendomi la mano ferita e provocandomi un dolore lancinante che dovetti soffocare con un grugnito.

«È già stata da sola con me. Non le è dispiaciuto.»

Ci congelammo tutti per un secondo, incamerando le implicazioni di quella frase.

«Sei uno stronzo, Trevor Baker. E la tua compagnia mi infastidisce, te l'assicuro.»

Mi guardò. Anzi, mi osservò. Lo fece con attenzione, studiando qualcosa che evidentemente sfuggiva alla mia comprensione. Mi sentii a disagio.

«Solo una delle due frasi è vera, Lea. E che sono uno stronzo lo abbiamo già stabilito con certezza. Ma capisco che ammettere di non provare abbastanza rancore per il tuo aguzzino non sia cosa semplice.»

Raccolsi tutto il disprezzo di cui disponevo, consapevole che, comunque, non era una quantità adeguata alla situazione.  Gli rivolsi la password nient'affatto dinamica ma universalmente conosciuta per sbrogliare questioni critiche.

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