Lui scosse il capo in segno di negazione. Ignorava il suo stato d'animo e questo mi fece capire quanto lui la stesse evitando, in seguito alla discussione. «Non ne sapevo nulla», ammutolì per un istante. Si guardò intorno e perlustrò il vasto parcheggio, forse poco volenteroso di instaurare uno scambio di sguardi con il sottoscritto, poi riportò la sua attenzione su di me. «Resta il fatto che dovrebbe lavorare, qualsiasi cosa succeda. Il turno della mattina spetta a lei». Con quell'affermazione, si rimise in riga dopo una lieve dimostrazione di vulnerabilità indesiderata.

«Lewis» mi infiltrai, con il tono che assunse durezza. La mia interruzione lo fece accigliare. «Ha passato una notte infernale. Mi ha chiamato dopo un incubo e non so nemmeno cos'abbia sognato, ma stava male. Preoccuparti avrebbe dovuto essere il tuo compito, prima ancora di essere il mio, dato che la conosci da sempre» puntualizzai. «Per favore», lo implorai, «lasciala riposare».

«Tu la stai sottraendo ai suoi obblighi», obiettò. Anche lui iniziò ad adirarsi e assottigliò lo sguardo, gli occhi ora ridotti a due fessure. «Le fai saltare gli allenamenti e ieri sera l'hai portata tardi al lavoro, Blake» inveì. «Se avesse davvero dei problemi che mi riguardano da vicino, me lo direbbe».

«Lei non ha molto da dirti», mi opposi alle sue dichiarazioni. «Dal momento che le stavi addirittura mettendo le mani addosso» aggiunsi. Sfruttai quell'informazione a mio vantaggio, appoggiandomi alla veridicità delle parole di Rylee.

«Non dire stronzate, non mi conosci nemmeno» replicò, iroso. «Non le alzerei mai le mani».

«Sono state le sue parole», feci spallucce.

«Allora i miei complimenti, ti sei innamorato di una fottuta bugiarda», sputò.

Quelle critiche fecero divampare un incendio distruttivo in me, tale da ridurre in cenere ogni briciolo di autocontrollo. La tensione dei miei muscoli mi portò ad aumentare la presa sulla vita di Rylee che, infastidita, si mosse appena nel sonno ormai alleggerito dalle chiacchiere in sottofondo.

«Io mi fido di ciò che mi ha detto lei», lo rimbeccai, «e non di te». La ragazza che reggevo in grembo emise un lamento, e strinse le sue braccia attorno al mio collo per accoccolarsi e stare più comoda. «Hey, tranquilla...» le sussurrai, portando la mia attenzione su di lei.

«Che ore sono...?» Il suo biascicamento risuonò adorabile al mio orecchio, e abbozzai un impercettibile sorriso causa di tanta dolcezza.

Gettai un'occhiata all'orologio allacciato intorno al mio polso, i cui puntini centrali lampeggiavano fra i numeri.

«Le dieci e un quarto» la informai.

Allarmata, rizzò la spina dorsale e sgranò gli occhi ora incollati al mio viso. Quelle iridi scure poste sopra le guance rosee riuscivano a rendere tenera anche la sua espressione preoccupata.

«Blake...» esordì. Voleva sicuramente rimproverarmi per non averla destata, quindi mi obbligai a fermarla.

«Lo so», la precedetti. «Ma era necessario che tu ti riposassi un po'. Riposarti per davvero, intendo».

«Sì, ma...» cercò di obiettare.

«Rylee, non ora» la interruppi, e alzai appena la mano per indicare il suo amico che sostava ancora appoggiato al mio pick-up.

Quando si voltò, i suoi crucci tramutarono in un'evidente seccatura. Di tutti i suoi desideri, la presenza di Lewis era l'ultimo della lista; forse, secondo una verità per lei inconfessabile, non avrebbe neanche voluto vederlo lì.

«Ciao» proferì incerta e, lenta, spezzò il contatto delle sue dita con il mio corpo. Si raddrizzò per guardarlo meglio, e io soffrii subito per la grave mancanza da lei lasciata. Il profilo della sua gola fu scosso da un movimento quando ingerì il groppo delle sue titubanze. «C-Che ci fai qui?»

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