7. La sua degna erede

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Trevor Baker non mi avrebbe portata a mangiare in un posto in cui il purè si chiamava "letto cremoso di patate dolci".

«Da quando ti conosco non ti ho mai vista nutrirti.»

«Tu non mi conosci, tu mi spii. È diverso.» Gli afferrai la mano con quella sana. «Dobbiamo sfamarci, non recensire il menù per qualche rivista. Vieni con me.»

Accadde l'inaspettato: mi seguì davvero.

***

La fame mi travolse come una marea, davanti al menù del Burger King che profumava di bacon e olio scaldato e gioia di vivere. Contemporaneaenete si risvegliò anche un dolore pungente alla mano, rossa e gonfia, che non riuscivo né a piegare né a stendere. Lanciai la bustina di ketchup sul vassoio del mio aguzzino, chiedendogli di aprirmela. Stava guardando con profonda diffidenza il suo pasto.

«Avanti, Baker. È cibo, sono certa che hai sperimentato situazioni meno accomodanti.»

Prese la bustina di ketchup, la aprì con una certa difficoltà e me ne versò il contenuto direttamente sulle patatine.

«Ah, quindi in pubblico fingi di essere una persona normale» dissi, commentando quel gesto quasi galante. Sarebbe stato un casino mangiare il panino con una mano sola. Decisi di rimandare il problema, iniziando dalle patatine. Acquisii la sfacciataggine di Trevor, guardandolo con aperta curiosità.

Sembrava a disagio.

« Hai entrambe le mani funzionanti. Che aspetti a mangiare? »

I silenzi di Baker non erano certo rari e, anzi, era quasi un sollievo quando smetteva di mitragliarmi di minacce o insulti. Ma quel silenzio era di diverso spessore.

«Sono abituato alle posate.» 

Forse non avrei dovuto stupirmi troppo: era pur sempre nato sotto il segno dei miliardi. Gente così usava le posate d'argento anche per sbucciare i mandarini.

Presi due patatine e me le misi in bocca, camuffando un sorriso. Avrei potuto lasciarlo annaspare nel suo incomodo, ma non lo feci. Spulciai altre due patatine dal suo vassoio, e gliele offrii. Le prese con la bocca direttamente dalle mie dita, come mi ero aspettata. Era un sollievo constatare che iniziavo a comprendere i meccanismi contorti del suo cervello. Il contatto con le sue labbra mi fece avvampare, ma fui abbastanza certa di aver soffocato ogni sintomo evidente. Non riuscivo a capire per quale motivo i suoi occhi marroni e per niente straordinari mi facessero tremare le ginocchia. Forse era la sfacciataggine del contesto in cui erano incastonati, a donargli quel fascino che faceva gridare al cervello "scappa!" e al ventre "accoglilo dentro di te, che aspetti?"

« Buone? » domandai.

« Unte. »

Feci spallucce. Cazzi suoi.

Strinsi i denti, sopportando il dolore che mi procurò il semplice gesto di prendere in mano il mio Bacon King, ma solo la morte avrebbe potuto impedirmi di addentarlo e sfamarmi. Mi uscì un gemito dalla bocca nell'assaporare di nuovo il sapore di cibo vero sulla lingua. Trevor aveva detto la verità: in quei giorni mi ero riempita lo stomaco solo di caffè, alcolici e Pocket Coffee (decaffeinati).

Mi resi conto che, probabilmente, quel passaggio affatto graduale da un quasi digiuno a un menù ricco di grassi mi avrebbe presentato il conto nel pomeriggio sulla tazza del cesso.

Ma almeno Trevor non mi avrebbe vista vomitare di nuovo, dato che mi aveva assicurato che nessuna microcamera inquadrava il water. Era una condizione per me così indispensabile, che non mi permisi di dubitarne nemmeno per un secondo.

PRICELESSWhere stories live. Discover now