5. Se l'orgasmo fosse un suono

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Non mi spaventò la conferma di quello che era stato il mio sospetto in quei giorni: era evidente che stava rovistando nei cassetti della mia vita per trovare il mio diario dei segreti. Mi spaventò di più l'ondata di adrenalina che mi attraversò il corpo non appena Trevor me lo comunicò.

Quel settembre, che doveva essere un mese di transizione, un letargo professionale in attesa di un nuovo anno di performance eccezionali alla Credit S.p.A., si era appena rivelato un pericoloso ed eccitante innesco di casini stratosferici.

Appoggiai lentamente la bottiglia di Aperol allo scaffale degli alcolici, lanciando a una delle ragazze del bar uno sguardo e un segnale sbrigativo: doveva prendere anche la mia postazione.

Aggirai il bancone e passai di fianco a Trevor, avviandomi verso la porta di servizio senza una parola, senza accertarmi che mi stesse seguendo. Tanto sapevo che era così. In quei pochi metri cercai di mettere ordine tra le mie idee confuse, raggruppando ipotesi e appuntando mentalmente menzogne credibili che avevo segretamente accumulato negli anni.

Quando giunsi alla porta, spuntò l'imprevisto che né io né Trevor avevamo calcolato.

« Lea! »

Era Denis, che mi guardava preoccupato, saettando i suoi occhioni grigi da me a Trevor.

Regola numero uno del Sweetydreams: nessun ospite sul retro. Mai. E così era stato in quei cinque anni: in quel corridoio avevamo camminato solo io, Denis e le altre cam girl. Chi usava le stanze, poi le puliva. Nemmeno i ragazzi della sicurezza ci avevano mai messo piede.

La regola era mia, mi apparteneva come mi apparteneva tutto il resto. Non pensavo che l'avrei mai infranta ma sapevo che sarebbe potuto accadere. Mi importava solo che, quando fosse accaduto, ne fosse valsa la pena.

« Denis, è tutto ok. La stanza rossa è libera » gli dissi, anche se con gli occhi gli stavo comunicando un rigoroso "stanne fuori". L'incredulità della sua espressione lasciò spazio all'apprensione. Era preoccupato per me, e io ancora non sapevo quanto avesse ragione.

« Non puoi portarlo nel retro » mi ricordò, lanciando uno sguardo inceneritore a Trevor.

« Io posso, tesoro » gli dissi, con il tono più morbido che trovai nel mio catalogo vocale.

Gli regalai una carezza sul volto angelico, dai lineamenti delicati. Denis era bellissimo, e il risentimento che sbocciò nel suo sguardo gli conferì una nota di perdizione che avrebbe sciolto l'intransigenza di qualunque creatura votata alla castità. La sua omosessualità era stata una condizione essenziale, una coincidenza astrale e fortunata, per la nostra amicizia. In caso contrario, in quei nove anni avrei cercato in ogni modo possibile di portarmelo a letto, e poi avrei rovinato tutto. Perché a me piaceva sperimentare il piacere, e poi sgretolarne i frutti.

Aprii la porta con la chiave che avevo preso dal mio registratore di cassa, feci entrare un Trevor stranamente silenzioso, richiusi il battente riscontrando un'accresciuta ostilità nello sguardo che si scambiarono i due maschi alfa della situazione. Non avrei mai pensato, prima di quella notte, di definire Denis un maschio alfa.

Ero destinata a cambiare idea su molte cose, da lì in avanti.

Mi voltai e mi incamminai lungo il corridoio, evitando accuratamente di incrociare gli occhi del miliardario strafottente che aveva mescolato tutte le carte del mio mazzo. Mi fermai davanti all'ultima porta presente, a invitai Trevor a entrare nell'ufficio destinato alla contabilità.

Lui mi guardò con un sorriso sbilenco e insofferente: non mise piede all'interno dell'ambiente.

« Non qui » disse.

PRICELESSWhere stories live. Discover now