Nella mia vita, l'affetto e le relazioni non erano mai stati elementi benefici. Fino a qualche anno prima ero stato vittima di carezze indesiderate, schiavo di labbra opprimenti e prigioniero di gesti pregni di crudeltà, senza avere la possibilità di ricevere uno scorcio di quello che tutti chiamavano amore. Non avevo mai baciato una persona per il piacere di farlo, risvegliando uno sciame di farfalle impazzite nel mio stomaco; l'intimità, anche quella più superficiale, era da me riconosciuta come una tortura. Persino quell'effimero e intenso contatto con Rylee, in un certo senso, lo fu. Avevo combattuto contro demoni e debolezze per sfiorarla, terrorizzato da conseguenze che lei non avrebbe potuto portare.

Perché lei non era Nora, e non lo sarebbe stata mai.

Il fruscio prodotto da Ava mi risvegliò. Si sistemò sul sedile del passeggero, liberatasi della cintura di sicurezza, e si voltò verso di me. Solo il suo profilo aderiva alla vecchia tappezzeria logora. E in quell'attimo cristallizzato, lontano dal mondo su cui ero costretto a rimettere i piedi per reagire, la mano di mia sorella raggiunse la mia e la strinse. Ne carezzò il dorso con movimenti cadenzati, riportandomi a quando mamma mi coccolava prima di rimboccarmi le coperte e lasciarmi dormire.

«C'è qualcosa che non va?» mormorò, il sorriso ora dissolto nel nulla.

Abbandonato contro lo schienale del sedile, chiusi gli occhi e racimolai le forze necessarie per degnarla di una risposta. «Credo di aver fatto una cazzata», confessai.

Lei, catturata dalla morsa di un'improvvisa preoccupazione, mi rivolse uno sguardo ancora più attento. Quegli occhi identici ai miei esplorarono ogni barlume d'incertezza che lampeggiava sul mio viso, alla ricerca di indizi che facessero trasparire quanto avevo fatto. Negli anni, però, avevo imparato ad assumere un'espressione neutra con cui schermarmi.

«Cos'hai combinato?» La durezza con cui me lo domandò mi fece pentire della suspense che avevo creato contro la mia stessa volontà.

«L'ho baciata».

Ammetterlo sciolse tutti i grovigli formati dai miei nervi. In quel momento, per mezzo della sola coda dell'occhio, assistetti alla scomparsa del suo cipiglio austero. Rilassò i lineamenti del viso, riconquistando la sua dolcezza, e le sue labbra si incurvarono verso l'alto. Io, però, non ebbi il coraggio di voltarmi completamente nella sua direzione.

«Tu... cosa?!» esclamò, e mi ritrovai a fronteggiare il suo tipico atteggiamento adolescenziale e romantico.

Ava, forse per la sua solitudine o il suo disperato bisogno di qualcuno che le asciugasse le lacrime quando era troppo sfinita per farlo, aveva sempre venerato il concetto di amore. Non aveva smesso di crederci neanche quando ne era stata distrutta la mia, di idea. Sognava dimostrazioni d'affetto, immaginava carezze sincere sul suo viso, bramava abbracci permeati d'incanto; necessitava di tutto ciò che le persone, me compreso, non erano mai state in grado di donarle.

Avrei anche donato la vita, se ciò le avesse portato una persona in grado di colmare i suoi vuoti.

«L'hai baciata?!» Incredula, rafforzò la presa delle falangi attorno alla mia mano inerme. «E non sei contento?»

Feci spallucce, ignaro della vera risposta. Le lente danze delle nostre labbra unite avevano generato tante certezze quanti timor che ero incapace di celare. Dinanzi a mia sorella, nascondermi era impossibile. «Non capisco se le abbia fatto piacere, o meno».

«Oh, Blake, è da tutta la sera che va in fibrillazione, parlando di te» mi informò. «Se hai dei dubbi, è solo perché l'hai vista destabilizzata».

«Va bene, Cupido». Mi arresi a una risata, e riuscii a sbloccare il mio corpo pietrificato, quindi mi voltai per regalarle la mia attenzione. «Ipotizziamo che sia così, che anche lei sia attratta da me». Ancora divertito da quella circostanza, continuai a sorridere. «Cosa cambierebbe? Io non saprei come comportarmi».

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