2. Finché qualcuno non ti compra

Bắt đầu từ đầu
                                    

«Questo Dry Martini fa schifo.» Il bicchiere venne abbandonato sul ripiano di vetro verde opaco. Non lo avevo preparato io, neanche sapevo cosa fosse, un Dry Martini. In condizioni normali non avrei nemmeno alzato lo sguardo, e avrei forse chiesto a uno dei miei ragazzi della sicurezza di tenere d'occhio il cliente insofferente, ma riconobbi l'orologio. Quel Bulgari lo avevo visto quello stesso pomeriggio, addosso a un coglione che indossava scarpe Nike da duecento euro insieme a un orologio che costava quanto lo stipendio annuale di un dirigente.

Fu così che alzai lo sguardo, incrociando il suo. Non mi ci persi. Non mi si bagnarono le mutande all'istante. Non fui magneticamente attratta da due occhi che racchiudevano l'universo o altre puttanate da dark romance che tanto mi piacciono. No, figurati.

Però, vaffanculo, era bello davvero.

Ma non abbastanza da farmi inebetire all'istante. O forse sì, ma accadde senza che me ne accorgessi, chi lo sa.

Trovai comunque inappropriato far girare i coglioni a uno che a quarant'anni non ancora suonati (questa, fu la mia stima fulminante) poteva permettersi di portare al polso una cifra del genere.

«Possiamo farle avere un altro drink» dissi, bevendo spudorata dal suo bicchiere e appoggiando i gomiti al bancone. Cercai di assicurarmi che fosse davvero lo stesso tizio che avevo visto di sfuggita alla Baker. Ma quanti stronzi belli e dannatamente ricchi potevano indossare quell'orologio nello stesso giorno e in mia presenza? Vuotai l'ultimo sorso di quel drink che puzzava di benzina, con la quale pareva condividere anche il sapore. Presi l'appunto mentale di chiedere ad Alice di farmene uno l'indomani, per capire se era stato preparato male o se facesse schifo di suo.

Si appoggiò al bancone anche lui, avvicinando il viso al mio.

Sorrisi, abbandonando il bicchiere vuoto accanto al suo gomito.

«No, non voglio un altro drink. Suppongo facciano tutti schifo.»

Aggrottai le sopracciglia, senza spegnere il sorriso. Non abbassai lo sguardo e rimasi impigliata nei suoi occhi marroni, valutando l'assenza di interesse che leggevo sotto le sue ciglia che parevano ventagli. Vorrei dire che sembrava fatto di cera, ma l'inerzia della sua espressione, stranamente, non restituiva un'immagine statica, ma un certo turbamento. Una recita, un bluff: sapevo bene che la sua presenza nel mio locale era già di per sé l'espressione di qualcosa che era l'esatto opposto del disinteresse.

Ma cosa avesse smosso le sue Nike bianche fino a lì, non sapevo immaginarlo

« Va bene, vorrà dire che le daremo qualcosa di meno elaborato, magari analcolico, e che le verrà offerto dalla casa. Che ne dice? »

Mi studiò per troppi secondi, senza muovere un muscolo, senza sbattere le palpebre. Mi inquietò quel suo atteggiamento di difficile comprensione. Resistetti meno di lui in quel silenzio scomodo.

« Allora? Ci sta? » sbottai.

Inclinò la testa da un lato, come stesse guardando una mosca che cammina su un vetro.

« Perché ha rifiutato il lavoro? » rispose, del tutto fuori luogo.

« È delle risorse umane anche lei, alla Baker?»

Lo vidi alzare un angolo della bocca. Finalmente, una reazione. Si tolse la giacca che sotto le luci del locale mi pareva di un blu notte che faceva a cazzotti con gli sprazzi verde smeraldo del Sweety. Con una calma serafica e un'eleganza che quasi mi angosciò, iniziò ad arrotolarsi le maniche della camicia sopra al gomito. Sbuffai, nascondendo il mio disagio dietro un falso disappunto. Aveva movenze ricercate anche se arroganti. O forse mi parevano ricercate proprio perché erano arroganti. Non mi staccò gli occhi di dosso mentre si metteva a suo agio. Il suo agio stava risucchiando il mio e improvvisamente mi sentii ospite a casa mia.

PRICELESSNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ