Il salone

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Nessuno degli Auror della squadra inviata dal Ministero avrebbe posto ad alta voce la domanda che tutti stavano pensando. Il salone in cui Draco Malfoy li aveva accolti, il più grande, il più vicino all'ingresso, era quello che aveva ospitato le riunioni dei Mangiamorte alla presenza di Voldemort? La sedia a capotavola spiccava per l'unico difetto che la distingueva dalle altre, pregiate e perfette: l'impronta di due denti nel legno – non era difficile immaginarlo cedevole sotto le zanne di un serpente addestrato a uccidere. Non ve n'era un'altra analoga, dall'altro lato, come se chi era solito occuparla non sopportasse di avere qualcuno di fronte, in una posizione pari e complementare.

Il lungo tavolo rettangolare contava abbastanza sedute da lasciare persino dei posti vuoti, se i presenti si fossero accomodati, se quell'incontro fosse stato più simile a una rimpatriata tra amici. Si conoscevano tutti: Harry e Hermione avevano iniziato Hogwarts con il figlio del padrone di casa, mentre Turpin e Stebbins erano ancora a scuola durante il loro primo anno.

Si trattava di un'ispezione, nulla che richiedesse una decennale esperienza – non che qualcuno, al Dipartimento Auror, si sentisse mai nella posizione di azzardare un commento su quella dei due eroi del Mondo Magico, manchevoli per la burocrazia ma non per la legge cruenta del campo di battaglia.

Erano a caccia di magia oscura, incaricati di bonificare un luogo che n'era stato custode, in cui era proliferata, di cui era diventata fondamento e quotidianità. Con Lucius Malfoy rinchiuso ad Azkaban per i suoi crimini, il Ministero intendeva verificare che non sussistesse l'esigenza di vietare l'utilizzo della dimora al resto della famiglia. Narcissa Malfoy non si era fatta trovare in casa, probabilmente incapace di comportarsi quando l'ammirevole apparenza, il più grande valore, era venuto meno. Suo figlio aveva scelto invece un singolare mutismo e si limitava a presenziare nell'angolo di ogni stanza durante le perquisizioni, rispondendo solo brevemente a domande su questioni pratiche.

«Lì la sedia manca?» chiese Stebbins.

«È rot-...» replicò prontamente Malfoy, per poi correggersi: «è stata distrutta.» Il tono di una giustificazione concordata aveva ceduto il posto a una lieve sorpresa, come se solo in quel momento il giovane uomo avesse realizzato che non era più necessario mentire e occultare quanto accaduto tra quelle mura. Nessuno dei presenti dovette faticare nell'immaginare Voldemort attaccare un pezzo di mobilio e chissà cos'altro in un accesso d'ira.

Una mano sulla spalla la fece trasalire, ma si riebbe subito quando si rese conto, alzando gli occhi dal pavimento, che si trattava soltanto del suo amico. «Hermione, tutto bene?»

«Certo, Harry» si affrettò a rispondere.

«Se volessi prenderti una pausa...»

Hermione sospirò, quindi gli sorrise rassicurante. «Va tutto bene, davvero.»

Cercò con quelle parole di convincere anche se stessa, allontanando definitivamente lo sguardo dal punto preciso del pavimento in cui si era trovata sotto le mani e la bacchetta di Bellatrix Lestrange. Ci avrebbe pensato qualcun altro a ispezionare la polvere sotto i tappeti, o il sangue secco – sporco, lurido, guasto – tra le fughe.

Harry parve convinto, quindi procedette a controllare il contenuto di una madia, passando in rassegna l'ennesimo set di piatti che la padrona di casa pareva collezionare indipendentemente dal numero massimo di ospiti possibile. Hermione stava per andargli dietro per aiutarlo con i cassetti, quando notò che Draco Malfoy aveva lasciato il proprio posto di impronta sulla tappezzeria: si era accostato, doveva aver seguito lo scambio di battute e ora la scrutava incuriosito. Era più vicino di quanto non le fosse mai stato, se non per intenti bellicosi sepolti nelle macerie di mesi di ricostruzione.

Lo soppesò con un'occhiata e lui si lasciò guardare con l'espressione remissiva di chi era ormai abituato a frequenti incontri col sistema della giustizia: il portamento elegante aveva perso in fierezza; il volto pallido era appesantito da occhiaie scure, e tuttavia pareva appena più morbido. Ai suoi lineamenti la pace aveva tolto spigolosità, come se nel suo ghigno antico si annidasse il livore di un'intera fazione caduta.

Non sembrava in procinto di parlare, né sul punto di spostarsi di nuovo, così lei lo interpellò: «Ti occorre qualcosa?»

Malfoy quasi sobbalzò nell'udirla, poi negò con un cenno del capo. «No, io...» iniziò, ma qualunque intenzione avesse cadde nel vuoto.

«E cosa vuoi?» lo incalzò. Aveva già ottenuto il perdono da parte di un tribunale, non meritava anche la sua pazienza.

Malfoy mosse confusamente le dita lungo i fianchi, quindi le spostò nelle tasche dei pantaloni. «Il pavimento è pulito.»

«Saremo noi a dire cosa è pulito qui.»

«No, intendo... è stato pulito.»

Hermione inarcò un sopracciglio. «Prego?»

«Da allora... c'erano macchie... sangue e altro... è stato lavato a fondo» le raccontò, a disagio.

Sgranò gli occhi, quando finalmente comprese a cosa alludeva. «Mi stai dicendo che vi siete puliti la coscienza con un secchio d'acqua e uno straccio?»

Malfoy inspirò ma non aggiunse altro, così lei continuò: «Perché non funziona così. Tu forse non vedrai più niente e appena ti ridaremo questa casa potrai abitarci e fingere che nulla sia mai accaduto, ma io lo saprò, e non lo dimenticherò, e farò sempre qualunque cosa in mio potere perché non accada mai qualcosa del genere. Perché è questo che mi ordina la mia, di coscienza, che non è sporca o lurida o guasta; ed è sempre quella che mi impone di essere qui oggi a fare il mio lavoro, pure nel posto in cui ho visto più dolore. E ne ho viste di cose durante quella guerra, Malfoy.»

A quel punto il mago non fu più in grado di sostenere le sue parole, così si voltò verso i fregi dorati di una cornice vuota. «Volevo solo dirti che io ricordo cosa è accaduto. Ricordo tutto – nonostante sia stato lavato a fondo.» Sospirò. «Mi chiedevo come proprio tu possa essere qui, ma dovevo immaginare che la risposta sarebbe stata qualcosa del genere, la coscienza. Né la tua né la mia riescono a tacere, a quanto pare.»

La sorpresa per quello sfoggio di eloquio – Malfoy aveva pronunciato più parole in quella risposta che in tutte le volte in cui aveva aperto bocca da quando erano arrivati – mutò presto nello sdegno. Pensava di meritare la quiete di un animo candido? Che le loro coscienze fossero paragonabili?

Fece un passo di lato e inclinò il capo all'indietro perché lui non potesse fuggire dai suoi occhi, quel grigio ancorato alla verità torbida che poteva offrirgli. «Ma la tua non deve tacere, Malfoy» lo corresse. «Non dovrà mai tacere. Ricorda anche questo, tra le altre cose.» E gli diede le spalle senza più curarsi di quale punto del salone occupasse, di cosa guardasse, di cosa origliasse.

La sua coscienza le imponeva doveri più imperanti dei rimorsi di Draco Malfoy.

La sua coscienza le imponeva doveri più imperanti dei rimorsi di Draco Malfoy

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Vi piace Hermione nelle vesti di Auror?
La coscienza di Draco Malfoy inizia a farsi sentire. Merita il perdono, della legge e di Hermione?
Grazie per aver letto e per ogni stellina o commento che vorrete lasciare. Spero che siate curiosi di proseguire con il prossimo capitolo!
Nell'attesa, mi trovate anche su Instagram come __legar__

La memoria delle muraWhere stories live. Discover now