4° Capitolo - Diario di una diciottenne

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A poche ore dalla mezzanotte, mi trovo chiusa in camera, seduta sul mio letto, una penna tra le mani. Tra poco arriveranno i miei nonni e amici più stretti, i soliti volti familiari, ad eccezione di Peter, impegnato in precedenza.

24 Settembre 7:45 p.m.

Dicono che i diciotto anni si compiono una sola volta nella vita e che bisogna goderseli appieno. Non so cosa aspettarmi ,e una leggera paura accompagna i miei pensieri. Se non dovessero piacermi? Se dovessero pesare troppo?

Diciotto anni. Devo ammettere che suona bene.

Io, seconda in famiglia, sto per varcare la soglia del mondo degli adulti. Vorrei tanto dire di essere pronta, ma la realtà è diversa.

Non si può scappare; non posso fuggire dai miei diciotto anni imminenti, né evitare di trovarmi seduta al tavolo circondata da parenti e amici, a scartare i regali in un silenzio generale.

Ho sempre immaginato che sarebbe stato un giorno bellissimo, un giorno speciale... Quasi come se dovessi cambiare il mondo.

Eppure, là fuori, tutto rimane immutato, con gli stessi pensieri , le stesse immagini e le stesse realtà concrete.

*Flashback*

«Ei Alex!» irrompo nella sua camera e lo trovo seduto sul suo letto con le gambe incrociate, la chitarra poggiata su di esse; davanti a sé tiene dei fogli con matita e gomma, probabilmente sta scrivendo una nuova canzone. «Posso farti una domanda?»

«È una cosa lunga? Perché sono leggermente impegnato, come puoi vedere» dice con indifferenza, senza togliere gli occhi dal pentagramma nemmeno per un secondo.

«Dipende dalla tua risposta» spero che riesca a capire l'importanza della mia domanda dal tono serio e deciso con cui mi esprimo.

«Spara» sospira impaziente.

«Come ti sei sentito quando hai compiuto diciotto anni?» Il mio tono acquista un leggero tremolio nel pronunciare la domanda, e questo basta per far alzare lo sguardo di Alex verso di me.

«Sei agitata?» ride lui, spostando i fogli per farmi sedere.

«Giusto un po'» minimizzo quello che in realtà mi sta consumando, ma la mia ansia è abbastanza percepibile.

«Non devi mica salvare il mondo!» ride per sdrammatizzare o forse per prendermi in giro. «Non ti creare chissà quale aspettativa perché non cambia nulla rispetto a prima» assume un tono di nonchalance, ma il suo abbassare lo sguardo mi fa capire che anche lui aveva delle aspettative. «L'unica cosa è che devi stare attenta a quello che fai perchè le responsabilità ricadranno su di te d'ora in poi» non mi aiuta provocandomi in questo modo.

«Beh, per te è cambiato decisamente qualcosa!» esclamo alludendo al contratto con la band, ma consapevole che non c'entri nulla con l'età.

«Sarebbe potuto accadere anche prima o in un qualsiasi altro momento!» concorda con il mio pensiero. «Ogni cosa ha il suo tempo, e questo è l'unica cosa che non puoi controllare, quindi pensa solo a godertelo e sfruttare quello che hai.»

Ecco, questo sì che mi è d'aiuto. Mi sento già più tranquilla.

«Da quando sei diventato così filosofico?» scherzo per eliminare quel briciolo di tensione che ancora si insinua nel mio stomaco.

«Da quando ho scoperto che è un ottimo metodo per toglierti dai piedi!» dice, spingendomi leggermente verso l'estremità del letto.

Effettivamente stavamo andando d'accordo da troppo tempo, sarebbe stato strano se avessimo finito di parlare in modo pacifico.

La triste esistenza di un sognatore (in revisione) Where stories live. Discover now