24. It's better to feel pain, than nothing at all

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«Non voglio che mostri  questo tuo lato aggressivo davanti ad altre persone», riduce gli occhi a due fessure. «Non vorrai mica finire nei guai, vero? Non saprei come tirarti fuori».

«Stranamente questo mio lato viene fuori soltanto quando sei nei paraggi», pronuncio a denti stretti.

«Allora sopporterò qualsiasi tortura tu decida di infliggermi. Qualcosa mi dice che me lo merito», le labbra piene sì contorcono in una smorfia.

«Lo meriti eccome!», allento la presa intorno al coltello.

«Posso riaverlo, adesso?», chiede dolcemente allungando la mano verso di me.

Mi porto la lama davanti alla bocca e poi con la punta della lingua lecco i residui di marmellata. Appoggio il coltello sul suo palmo e sorrido. «Prego».

Lui corruga la fronte, una scintilla di malizia gli attraversa gli occhi. «Davvero pensi che questo tuo gesto mi farà provare disgusto? Odio doverlo dire, ma quella lingua è stata nella mia bocca una volta. E la mia...», fa una pausa e punta i suoi occhi nei miei. «Ha esplorato accuratamente il tuo corpo, quindi non provare a fare questo gioco con me, Nives».

Non so se sia dovuto al calore che emana la tazza fumante che tengo tra le mani oppure se sia dovuto alle sue parole o al suo sguardo penetrante, ma il mio corpo sta lentamente andando a fuoco e non è un buon segno.

Sgrano gli occhi e gli do le spalle. Non può averlo detto davvero. Ma ha ragione, cosa diavolo pensavo di fare? Avrei dovuto aspettarmi qualche risposta idiota da parte sua!

«Sorridi pure, bisbetica. Non trattenerti», la sua voce è un soffio di vento gelido che mi solletica la nuca.

Mi porto la tazza alle labbra e mentre mando giù un sorso della mia tisana rilassante un sorriso odioso mi ravviva il volto, ma mi affretto a scacciarlo via.

«Lo dici a tutte?», gli chiedo, pentendomi subito dopo di averlo pronunciato ad alta voce.

«Tutte?», nella sua voce traspare il fastidio. «So che ti riesce difficile crederlo, ma sono in grado di tenermi il cazzo nei pantaloni, Nives».

La testa scatta come una molla verso di lui. «Non intendevo dire quello».

Rimette il burro di arachidi al suo posto e mi guarda: «Però l'hai detto. Adesso vorrei capire: è gelosia oppure pensi davvero che io sia un coglione che va a letto con tutte?».

«Gelosa? Io?», sbuffo una risata e scuoto la testa.

«Sì, proprio tu», fa un passo verso di me e io indietreggio verso il tavolo.

«E perché mai? Vuoi davvero farmi credere che qualcuna sarebbe davvero interessata ad andare a letto con te?», sostengo il suo sguardo mentre continuo a indietreggiare.

«Vuoi davvero una risposta?», il suo dopobarba mi
solletica le narici.

«Soltanto una persona priva di cervello andrebbe a letto con uno sbruffone simile».

Lui arriccia il naso. «Una frase del genere è un insulto alla tua intelligenza, bisbetica».

È troppo tardi per rimangiarmi la frase, quindi finisco di bere la tisana e poi incrocio le braccia al petto con stizza.
«Sei veramente un coglione».
Kyle mi incastra contro il suo corpo e il tavolo. Mi manca il fiato. Ogni volta che accorcia la distanza tra noi due, i miei polmoni non sembrano più capaci di incamerare l'ossigeno al loro interno.
Si abbassa leggermente e il suo sguardo scivola sulla mia bocca per pochi secondi.

«Dovresti provarlo. È delizioso», solleva il suo sandwich all'altezza del mio viso e poi dà un morso generoso. Batto lentamente le palpebre, confusa.

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