La Cisterna - Terza parte

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"Siràn!"

Suoni che s'inseguirono. Sbattè gli occhi, incredula. Grigor le rimise l'indice contro le labbra.

Bene! Tu non puoi soffrire. Tu non puoi avere paura e non ne avrai. Sei solo una carcassa, Siran. Un'ultima cosa, però. Prima che le belve comincino, con te, ricorda: assieme a quella moneta, mettine un'altra e portala qui, indietro.

Buio. Sonno.

Quando i cardini della porta cedono, lei e Isabela - chi era? L'aveva mai incrociata? - ronfavano nell'azzurrino che la tv irradiava. Irrompono in tre, addosso stracci dozzinali. Facce ispaniche. Chi siano, di colpo, non le importa. 

Non sa perché, ma il primo ricordo è quello dei piatti sporchi nel lavandino. Associazione d'idee: sapore ferrigno sulla lingua. Qualcosa di duro tra le gengive e la guancia.

Grigor. La Cisterna. Le carcasse.

Isabela urla lì di fianco, mentre quelli si avvicinano sbraitando. Isabela urla, disperata. Non conosce la verità. Non ha, in bocca, una monetina. La stringono in due. Mani voraci le cercano i seni, le straziano i polsi, le serrano il culo. Il terzo non bada ai compari. Sfodera una pistola e la spiana dritta in faccia a lei. E senza sapere perchè, di colpo, lei nella testa ha solo un nome: Estrella. E per quanto la monetina in bocca le ricordi Grigor, la Cisterna, le Carcasse, Siràn...

In quel momento: Estrella. Il suo nome. Isabela: sua sorella. Quella pistola, davanti: una delle forme oscene del supplizio che le attende. La coppia d'occhi feroci e volgari che ha di fronte: uno di quei Servitori che sbava e pregusta il suo premio. Per altri servigi, altrove, in un luogo diverso che Estrella non conosce. E Siràn non può ancora capire.

"Ci divertiremo tutta la notte, con voi, troie!"

I due tirano giù Isabela dal letto, per i capelli. Non smette di urlare, piangere, implorare.

Isabela: solo due anni di meno. 

Le candeline sulla torta. Le gite al mare, tanti anni fa. Il vestito bianco della prima comunione. Miguel. Il suo Miguel. I suoi baci. La bambola scartata a Natale. L'omino di pan di zenzero. Brun, col pelo di cioccolata. "Voglio aprire un salone di bellezza: capelli, manicure... Mio, però. Solo mio!"

Rihanna canta dallo schermo. Isabela di speranza, nelle urla, sembra non averne più. Uno dei due le molla le tette snudate dalla maglietta strappata e alza il volume della tv a palla.

"Urlate quanto cazzo volete, adesso..."

Ogni colpo di basso le riversa nello stomaco, da vomitare, immagini di una vita. Ogni rintocco sordo, ricordi o desideri. I piatti nel lavello. La cena con Isabela. "Tocca a te lavarli..." Il borsone del lavoro.

Tutto vero. Grigor l'aveva detto. Tutto vero. Una verità cui attaccarsi.

Ferro, dietro le gengive. Freddo, duro. Grigor. La Cisterna. Quei corpi lì sotto: l'oceano di teste, visi, piedi. Isabela. Ricordava quel viso, li giù? No, ma adesso sceglie di credere. Isabela: di sicuro una carcassa, anche lei.

La ragazza urla, mentre le strappano quel che resta della maglietta, tirano via i pantaloni. Uno la tiene ferma, cavalcioni sul petto. Le taglia il respiro. Le spacca la faccia a pugni. L'altro ha già aperto la patta. Se la sbatte, lì per terra, dentro, forte e duro, come un forsennato. Il terzo, quello che puntava addosso la pistola a lei, butta via svogliato il telecomando. Tira giù la zip con la sinistra, mentre la destra tiene la pistola di fianco. Che se la ripassino gli altri, Isabela. Sente i suoi occhi addosso "Con te ci voglio godere solo io..." Le serra il collo. Feroce.

Non dimenticarlo: nessun dolore! Sei soltanto una carcassa...

La tira giù dal letto e non si accorge che con la mano, un attimo prima, lei, s'è aggrappata al pendaglino di corallo dell'abat-jour. Lo ha strappato via. Lo ha fatto scivolare in bocca, vicino a quella monetina.

Tu non esisti! Quello che sentirai, quello che penserai, quello che vorrai o non vorrai: stronzate...

E la testata che le schianta il naso. 

Estrella non la sente. Resta ferma. Mentre Isabela urla, implora di aiutarla. Prega che la smettano. Grida che non vuole morire. Estrella cerca il ferro della monetina con la punta della lingua. E quando quello comincia, sceglie di diventare la punta della lingua. Un tutt'uno con le papille. Per aggrapparsi al sapore del ferro, più che a quei ricordi a cui smette di credere. Pur di aggrapparsi all'amaro del metallo, per non sentire il sapore del sangue, il puzzo di saliva, il fuoco di quel coso che adesso le spacca le cosce e le punge la pancia.

La Cisterna - I racconti di Archology 0.001Where stories live. Discover now