Capitolo Sei

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Suguru spende la nottata a lavorare, riordinando ogni suo possedimento. Sono tante le cose che ha da scrivere, istruzioni e informazioni di ogni tipo da riferire alle persone che conosce. La più difficile, in ogni caso, è l'email per Satoru. L'ha scritta, cancellata e riscritta per quella che dev'essere una dozzina di volte, e nonostante ciò c'è ancora qualcosa che non va. Che sente sbagliato. E di certo non aiuta che-

Kenjaku sputa dell'acqua dal barattolo in cui è stata messa dentro. Lo sputo finisce sulla guancia di Suguru.

Il suo occhio si contrae dal nervoso.

«Suguru, hai finito? A che punto sei?»

Si porta le mani al viso, lasciando che le unghie si conficchino nella sua pelle. Continua a ignorare i suoi genitori: non ha rivolto loro parola da quando ha ripreso possesso del proprio corpo. La pallida luce del mattino filtra dalle finestre lasciate aperte, illuminando la stanza vecchia e abbandonata dal disuso alla polvere. Suguru non sa ancora cosa scrivere a Satoru.

Kenjaku sputa un'altra boccata d'acqua su di ləi.

«Ne ho abbastanza,» sbotta finalmente Suguru, prendendo il coperchio di plastica del contenitore e tappando il barattolo in cui è rinchiusa Kenjaku. Con una penna, fa un paio di fori sulla superficie per far passare l'ossigeno. Kenjaku fa... un'espressione. Una specie di broncio.

«Suguru hai scritto l'email?»

Che la sua dignità venga benedetta, a Suguru non importa più che Kenjaku possa prenderlə per pazzə al vederlə sbraitare verso il nulla. Non starà su quel mondo ancora molto a lungo, in ogni caso. «No, non ho ancora finito di scriverla! State zitti!»

Oton si cruccia. «Non c'è bisogno di essere così maleducati.»

Suguru riporta la sua attenzione alla mail. Cancella poi tutti i paragrafi che aveva scritto fino a quel momento. Fa una pausa.

Fanculo.

Digita con astio un paio di spiegazioni concise. Il corpo di Getō Suguru è stato rubato e dissacrato, ma recuperato di recente. Un luogo. Indicazioni.

«Ho finito,» annuncia. «perfetto. Ora dobbiamo solo sigillare il cervello, mollare il corpo da qualche parte, e finalmente potremo chiudere la questione!»

«Mollare il corpo da qualche parte?» Okaa-san corruga la fronte.

Suguru alza gli occhi al cielo. «Sì, così Satoru può trovarlo.»

Un battito. «...Senza te dentro?»

«Certo,» al sentire questa parola qualcosa nel volto di Okaa-san muta. Non è un grosso problema, comunque. È meglio così, per il bene di tutti, ed è anche più semplice e sbrigativo. Suguru invia la mail anonimamente, Satoru ritrova il cadavere e il cervello e li riporta da Shōko, e il resto potrà essere gestito propriamente da loro due. Tutto sistemato, e nessun altro dovrà mai più venire a conoscenza dei se e dei ma.

«Ma non vuoi rivedere il tuo ragazzo?»

«Non è il mio ragazzo.»

«Va bene, va bene,» sua madre sventola una mano per aria, «ma non ci tieni a lui? Non ti va di rivederlo di nuovo? Quando voi due siete venuti a visitarci, nel vostro primo anno di superiori, eri la persona più felice del mondo; te lo si leggeva sul volto.»

Suguru è mortə in pace. Davvero. La sua ultima traccia di malizia svanì completamente con l'ammissione di cieca fiducia da parte di Satoru. Era stata una gentilezza non caratteristica di questo mondo, il poter morire grazie alle mani di Satoru; non c'era mai stata altra maniera in cui Suguru avesse voluto morire. Era davvero felice di essere statə uccisə per mano sua.

Non ti va di rivederlo di nuovo?

Certo che Suguru vorrebbe rivederlo di nuovo. Gli piacerebbe così tanto. Forse, da qualche parte, esiste un mondo diverso da quello in cui sono dovuti nascere in questa vita dove entrambi terminano felicemente le scuole superiori, un mondo nel quale sono sposati e camminano sulle spiagge di Okinawa tenendosi per mano, ammirando in silenzio l'acceso brillio delle onde che si sfanno sulla riva. Forse, in quel mondo, Suguru è in grado di pronunciare le parole ti amo senza dover reggere il peso titanico di una colpa che non riesce ad esprimere a parole.

«Okaa-san,» inizia Suguru, sperando che questa volta lei capisca, «non posso fargli questo.»

«Quel ragazzo ti ama,» risponde e no, evidentemente non ha capito.

«È quello il punto.»

«Non credi che preferirebbe sentire cosa è successo direttamente da te, invece che da, che ne so, un'autopsia?»

Suguru sussulta, e sotto sotto sa che sua madre ha ragione. Sa bene che, per quanto orrendo e doloroso possa rivelarsi il loro incontro, Satoru preferirebbe quello a una mail anonima con un resoconto dei fatti e il suo cadavere accanto. Detesterebbe una tale situazione.

«Non posso,» mormora, «io... non dovrei. Non-»

Oton, più quieto e di natura meno conflittuale rispetto a sua moglie e a Suguru, interviene: «Credo sia più giusto di sì, invece.»

L'aria della stanza, per qualche istante, viene intrisa di nient'altro che silenzio. Suguru si sente troppo consapevole di avere un cuore che non palpita e della respirazione necessaria che porta avanti da quando è tornatə in sé, più per abitudine che per necessità. Si sente a disagio in questo studio polveroso e scarsamente illuminato. La luce del sole filtra attraverso le finestre e colpisce la parete dal lato opposto, la sua pelle bianca e senza vita e i suoi vestiti nero inchiostro. La pallida mattina è già cresciuta nel primo pomeriggio, e Suguru riesce a malapena a percepirla con i suoi nervi esausti.

È il pomeriggio del terzo giorno dell'Obon: mancano cinque ore prima che le lanterne di tutto il Giappone inizino a galleggiare lungo i fiumi baciati dal tramonto. Nove ore prima che le ultime lanterne s'incamminino lungo la Luna appena nata, assieme alle anime dei morti destinati a vagare chissà dove.

Suguru non è più in vita. Non dovrebbe trovarsi qua, adesso. Però...

«D'accordo,» pronuncia, tono caldo e freddo al tempo stesso, «d'accordo.» 

TEMPERATURE DROP, satosuguWhere stories live. Discover now