Capitolo Uno

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Suguru apre gli occhi percependo un brivido scorrere lungo la spina dorsale, accompagnato da una sensazione di freddezza come se avesse appena infranto la superficie di un ruscello ghiacciato. Sente la spessa umidità estiva accumularsi nei polmoni e aggrapparsi fastidiosamente alla sua pelle, ai suoi capelli sciolti, alla canapa ruvida e grezza di cui è fatto il tessuto del suo kimono bianco. Vede una luce brillante di fronte a sé oscillare gentilmente come una lanterna di carta appesa alle luminarie della città, e Suguru ha bisogno di diversi istanti per realizzare che lo è.

È appena calata la notte, e il viola del crepuscolo indugia timidamente agli angoli del cielo. Una debole brezza si trascina dietro il morente ronzio delle cicale e l'aroma terroso dell'aria di montagna. A pochi passi da sé, una tiepida lanterna illumina l'entrata di una stanza, cadendo dolcemente sui volti familiari delle sue bambine.

«Se tutto questo è vero,» sta dicendo Mimiko, e la sua voce quieta sembra straripare di qualcosa simile all'afflizione e al cordoglio, «credi davvero che funzionerà? Getō-sama non è- non era sangue del nostro sangue.»

«Funzionerà.» Afferma Nanako, e se le sue parole sono sicure, il suo tono è reso fragile dall'incertezza, «L'Obon riguarda la famiglia; Getō-sama era la nostra famiglia.»

Oh, Suguru riconosce distintamente, quella è una lanterna per l'Obon. Dello stesso tipo che soleva appendere ogni anno per i membri deceduti della sua famiglia e per i genitori biologici delle ragazze. Suguru lo faceva più per sottostare alle convenzioni sociali che per altro, apprezzando il festival annuale nel vago e laico atteggiamento di chi crede fermamente ai propri ideali e al mondo terreno anziché ai miti distanti narrati nei sutra sanscriti e nelle cronache shintoiste.

Suguru accenna un esitante passo avanti, ma non riesce a sentire il terreno ciottolato sotto i suoi piedi, e ha invece l'impressione di star camminando in mezzo a uno spazio cotonato e nebuloso.

«Giusto,» mormora Mimiko, «giusto.»

Cosa state...? sta per chiedere Suguru, ma la porta d'ingresso si apre di colpo e una violenta luce bianca si riversa sopra le due ragazze; e Suguru, nel vedere se stessə avanzare a passi spediti attraverso l'entrata, non può che sentirsi impotente e disorientatə in preda alla confusione senza speranza che l'attanaglia.

«State appendendo una lanterna in sua memoria?» Il corpo di Suguru inclina la testa di lato.

C'è tensione nelle spalle di Nanako e qualcosa di simile alla paura in quelle di Mimiko, e niente di tutto questo ha senso. Niente. Perché Suguru si trova qua? Dov'è realmente? I suoi pensieri hanno un che di sciropposo, plumbeo e s'ingarbugliano sempre di più ogni istante che passa. Perché-

«Sì, e quindi?» Ribatte Nanako, il tono sulla difensiva pieno di stizza, «Hai qualche problema?»

Un sorriso sottile si fa strada sulla faccia del suo corpo, e gli occhi s'increspano senza la minima traccia di affetto. «Certo che no.» Voce morbida. «Ho la certezza che in questo momento vi stia guardando con molta tenerezza; ne sarebbe molto felice.»

«Lo dici come se t'importasse di cosa desidererebbe Getō-sama.»

Cosa?

«Oh, Getō-sama mi odierebbe,» conferma il corpo prima di ridere, e ride di una risata così leggera e spensierata come se stesse trovando l'intera situazione divertente. Di qualsiasi situazione si tratti. C'è un'idea che sta iniziando a formarsi nella mente di Suguru, una fredda e raccapricciante realizzazione; questo vuoto di memoria, il kimono bianco con il dato destro piegato sopra al sinistro, riservato tipicamente solo ai defunti- «Ma direi che così è abbastanza. Tornate dentro.»

TEMPERATURE DROP, satosuguWhere stories live. Discover now