Tic Tac

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Ginevra POV

Joe bussò alla porta. Accadde tutto in una manciata di secondi, attimi che si susseguirono velocemente nella mia testa.
Qualcuno aprì e per un attimo trattenni il fiato.

"Joe, ciao. Sei venuto per Fede?"
Non mi vedeva davvero.
La voce di mia madre mi scivolò sotto pelle facendomi rabbrividire insieme alla presa di coscienza che lei non riuscisse a vedermi.
Il suo sorriso era sincero e nei suoi occhi non riuscii a vedere la stanchezza di un tempo. Forse quello era il motivo per cui si fosse disfatta di tutte le mie cose.

Era bastato un anno per cessare di esistere anche nel suo cuore.

La verità è che non ero stata del tutto sincera: non era vero che nessuno potesse vedermi. Potevo esser vista solo da coloro il cui dolore riusciva a tenermi ancorata nei loro cuori, nelle loro menti.
Non l'avevo detto a Joe, avevo deciso di tenere quel piccolo particolare per me affinché non se la prendesse con nessun altro. Era diventato tremendamente impulsivo da quando non c'ero più, lo avevo notato fin troppe volte.

Non importava che io fossi morta, ero comunque riuscita ad illudermi ancora una volta.

"Sì, posso entrare?" Disse incerto voltandosi verso di me. Io annuii e dopo aver visto mia madre spostarsi dalla porta, entrai in quella che una volta era la mia casa.

Che non lo era più, lo capii una volta dentro.

Era rimasto tutto uguale, a parte il divano e la disposizione delle fotografie sulle mensole. Avvicinandomi rimasi delusa nel non trovarne nemmeno una mia, ma era prevedibile. Joe si voltò a guardarmi con un cipiglio confuso sul volto. Gli rivolsi un sorriso rassicurante prima di seguirlo verso la camera di mio fratello.

Rimasi in silenzio per un attimo, attanagliata dalla paranoia che nemmeno lui riuscisse a vedermi.
Passo dopo passo il pensiero di tornare indietro si faceva sempre più forte, ma tanto valeva un tentativo.

Arrivati lì di fronte, Joe bussò secco alla porta di mio fratello. Se avessi avuto ancora un cuore, probabilmente avrebbe preso a battere forte a punto tale da uscirmi dal petto.

"Mamma, basta! Dammi tregua, non verrò insieme a te"
La sua voce, ovattata dalla porta, non era per niente come me la ricordavo. Sembrava più cupa, più roca.

Più triste.

"Siam-" Iniziò Joe. "Sono io." Mi guardò interrogativo stringendosi nelle spalle, poi lo esortai a continuare. "Posso entrare?"
Silenzio.
"Entra." Lo sentii dire.
A quel punto il cuore sarebbe schizzato fuori dal petto. Decisi di rimanere fuori per un attimo. Non ero pronta. Il tempo iniziò a scorrere piano, non riuscivo a smettere di concentrarmi sul ticchettio dell'orologio in corridoio.

Tic Tac Tic Tac
La porta era ancora chiusa.

Tic Tac
Non riuscivo a sentirli parlare.

Tic Tac Tic Tac
Un po' di coraggio.

Tic Tac Tic Tac
Non tutti hanno il privilegio di una seconda occasione.

Entrai in camera di Federico trovandolo abbracciato a Joe. Sapevo benissimo cos'era successo. Aveva provato a parlargli, ma nessuno avrebbe creduto ad una simile storia. Joe stesso fino a poche ore prima aveva creduto di essere impazzito.

Le orecchie iniziarono a farmi male nel sentire l'affanno di mio fratello, nel vederlo inginocchiato per terra spaventato di aggrapparsi ad un'idea che l'avrebbe fatto impazzire.
Mi avvicinai, mettendomi in ginocchio di fronte a lui. Non dissi niente per un po', non ci riuscivo. Fu Joe a parlare.
"So che sembra assurdo, lo so." Poi continuò. "Ma ti prego, prova a fidarti di me." Disse l'ultima parte in un sussurro.
"I papaveri sono stati una tua idea, non è vero?"
Non mi mossi, spaventata dall'idea che non mi avesse sentita. Dopo attimi che parvero eterni, si voltò. Aveva gli occhi scuri colmi di lacrime, le lentiggini leggermente sbiadite dal tempo e i capelli ricci che gli ricadevano sulla fronte. La sua espressione non seppi decifrarla subito.

"Non è.. Questo–Non sta succedendo davvero." Provò a dire. "Cosa mi hai messo nell'acqua Joe? Quelle tue stupide gocce per pazzi? Si tratta di questo, non è vero?" Il tono era alzato e adesso era in piedi. Stava spingendo Joe con l'indice. Lo colpiva al petto ad ogni parola, quasi a volerlo ferire. Per la seconda volta quel giorno, iniziai a piangere. Fu un pianto silenzioso di cui nessuno si sarebbe accorto. Vedevo il dolore sul suo volto. Vedevo la sofferenza nei suoi occhi, nelle sue ossa. E la cosa peggiore era il non poter far niente.

Io non dovevo nemmeno essere lì.
Erano loro a tenermi, mi stavano tenendo insieme al loro dolore ed io ne ero sopraffatta.
Dipendente.

Poi mi feci coraggio, con la voce che ancora tremava.
"Una volta siamo andati insieme al negozio di giocattoli vicino a casa della Zia Giada. Non volevi andare a scuola quindi promisi a mamma di prendermi cura di te quel giorno." Il silenzio che sentii dopo mi spinse a continuare. "Ricordo che avevi portato alcuni dei tuoi risparmi e volevi comprare tu qualcosa. Come i grandi,dicevi." Mi asciugai le lacrime. "Te lo lasciai fare. Andasti in giro per l'intero negozio fingendoti un moschettiere con la tua spada. Poi passasti vicino alla stanza dei peluche." Mi fermai per guardare il suo volto, soffermandomi sui suoi occhi colmi di lacrime pronti a scoppiare un'altra volta. "Prendesti un orsetto color del miele e me lo porgesti. Ricordo ancora cosa dicesti." Mi fermai un attimo.

Questo è tuo. Te lo compro io così quando avrai paura dei mostri o dei fantasmi, ti basterà stringerlo e anche quando non saremo insieme ci sarò comunque»."
A quel punto non tentammo nemmeno più di trattenerci. Mi corse incontro e fece qualcosa che andò oltre ogni mia capacità. Federico mi strinse forte tra le braccia, talmente forte da farmi dimenticare di non esserci più. Quell'abbraccio mi riempì di un'energia che non provavo da tempo e non riuscii a dire nient'altro.
Fui grata che si fosse fidato di me. Di noi.
"Non riesco a sentire il tuo–odore." Disse.
"Lo so, è normale." Sorrisi tra le lacrime. "Grazie di non aver avuto paura."
"Non potrei mai aver paura di te." Scosse la testa, abbracciandomi di nuovo. Il suo calore tentò di fondersi con la mia insensibile freddezza, ma lui sembrò non farci caso. Dopo poco si sedette sul letto accanto a Joe.
"Da quanto lo sai?" Chiese.
"Da stanotte." Portò lo sguardo su di me. "E' venuta a svegliarmi."
"Sei qui per rimanere?"
Il mio silenzio sembrò parlare al posto mio.
"Sono qui per parlarti." Aveva la fronte corrucciata e le labbra semiaperte. "Non ho molto tempo." Con la coda dell'occhio vidi Joe guardare l'orologio e battere l'indice nervosamente sulla coscia.
"Parlarmi? Io non capisco, io non-" Iniziò Federico.
"E' una lunga storia ed il tempo per raccontarla inizia ad accorciarsi." Risposi.
"Meglio iniziare subito, allora." Disse Joe con un'occhiata d'intesa.

Another Ghost RomanceWhere stories live. Discover now