Pizza e stelle

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Chissà se le stelle godono dello spettacolo
che l'umanità inscena per loro
S

Stavo bevendo coca cola, lo ricordo ancora perché la bevanda non era l'unica ad essere frizzante.Non le capitava spesso di stare così. Nell'ultimo periodo vederla ridere era diventato un evento più unico che raro, sempre a ripensare a cosa sarebbe stato del nostro futuro. A me bastava vederla sorridere e la rincuoravo dicendole quanto il futuro non fosse che un presente frettoloso e, dopo aver scosso la testa, finiva per baciarmi.

Ogni volta che mi baciava, il calore divampava fino alle guance ed era difficile anche solo concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse lei.

«Potremmo sempre scegliere economia.» Dissi stringendomi nelle spalle afferrando una fetta di pizza.
«Sì, se non fossi una frana in matematica.» Scosse la testa affondando la cannuccia nel bicchiere, come a volerlo punire. «Forse lettere straniere, o meglio ancora scienze sociali!» Nonostante la sua voce mostrasse entusiasmo, sapevo dove la conversazione sarebbe andata a parare. Sapevo leggergli gli occhi come un bambino sapeva recitare la parte della sua filastrocca preferita. Sapevo anche di essere l'unico che potesse farla meglio, però.
«Gin.» Alzò lo sguardo su di me, prima di portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Le presi la mano intrecciando le mie dita con le sue. «Andrà tutto bene, d'accordo?»
«Mh, forse.» Iniziò a muoversi sul sedile. «È che il futuro mi spaventa. Non posso fare a meno di pensarci a volte.» Scosse la testa. «Scusa, sto farneticando di nuovo.»
«Sai cosa faremo?» Portai una mano sulla sua guancia calda. Lei annuì. «Faremo scegliere al destino.»
«Non ti seguo, Joe.» Corrugò la fronte.
«Il destino, Gin.» Indicai un punto indefinito sopra le nostre teste. «Quando una cosa è destinata ad arrivare, arriva. Non importa quanti giri deve fare prima di tornare.»
«Forse non mi va di finire il liceo.» Disse lei a bassa voce senza guardarmi. Aveva gli occhi puntati verso il cielo scuro, piuttosto. Ed ero sicuro che fosse in cerca di una stella cadente a cui dare la colpa delle sue scelte sbagliate. Le posai una mano dietro al collo e feci scivolare le dita sopra la sua pelle senza dire niente. In realtà le stavo dicendo tantissimo.

Andrà tutto bene. Ci sono io. Non importa cosa sceglieremo finché saremo insieme. Farei di tutto per rivivere questo momento in loop. Voglio baciarti.
Andrà bene. Non avere paura del futuro.
Resta con me, Gin. Resta con me.

«Ho un po' freddo.» La sentii dire incerta. Tolsi la mano e mi sfilai la giacca.
«Prendi questa.» Le sorrisi allungandomi verso un altro pezzo di pizza. Lei si lasciò scappare una breve risata.
«La stai mangiando tutta!»
«Ho fame! Tu hai mangiato la mia fetta con le patatine. Non sai che quelle valgono due?»
«E questo chi l'ha deciso?» La sentii ridere. Ecco, il suono di cui non mi sarei mai stancato. La prima canzone preferita di un adolescente, quello era la sua risata per me.
«Io, naturalmente. Però...» Risi avvicinandole la pizza al viso. «Vuoi la pizza? La vuoi?» Avvicinavo e allontanavo la pizza dalla sua bocca felice nel vederla inciampare nella sua stessa gioia. «Tieni, dai Gin.» Risi più forte dopo averla sporcata con il pomodoro. Finse il broncio prima di scoppiare a ridere cercando di avvicinarsi per sporcarmi. La bloccai, tenendola ferma delicatamente per i polsi. L'auto si riempì dei nostri silenzi tesi quando tirai fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di fazzoletti e, dopo averne preso uno, lo avvicinai alle sue labbra. Iniziai a sfiorarle delicatamente rimuovendo tutta la salsa. Per un attimo avrei voluto toglierlo con le mie, di labbra. «Ecco fatto.»
«Grazie.»

Deglutii. Quella sera pioveva. Non me ne accorsi subito, però. Furono i suoi occhi scuri fermi a guardare il cielo e l'improvviso interrompersi delle sue risate a farmelo realizzare. Ci misi qualche istante a rendermi conto di avere uno stupido sorriso sulle labbra mentre la guardavo stringersi nella mia giacca di Jeans.
Dio quanto era bella.
Quando si voltò a guardarmi capii che doveva aver detto qualcosa perché sul suo volto si dipinse un punto interrogativo. Soffocai una risata e scossi la testa.
«Mi stai ascoltando?» Stava cercando di fare la sostenuta, ma io l'avevo notata mentre si mordeva il labbro; un silente rimprovero a se stessa che non riusciva quasi mai ad avercela con me.
«Sì, beh..» Ero in cerca delle giuste parole. «Piove, hai notato?»
«Ma non mi dire, Joe.» Si sganciò la cintura di sicurezza, spostandosi sul sedile per guardarmi. Il suo profumo dolce mi riempì il naso fino a volerne sempre di più. A volerla sempre di più.  «Non mi stai a sentire.» Prese un altro pezzo di pizza e se lo portò vicino alle labbra continuando a guardarmi.

«Hai ragione, non ti stavo ascoltando.» Ammisi voltandomi verso il finestrino per un attimo prima di riportare lo sguardo su di lei, l'indice che sfiorava il naso come ogni volta in cui la verità mi imbarazzava a punto tale da rendermi ridicolo. Mi sporsi verso il suo sedile e presi un pezzo di pizza dal cartone, ne presi un morso. «Ma la colpa è tua.»

«Ah!» Ingoiò il boccone di pizza prima di puntarmi l'indice contro con gli occhi spalancati. «Questo è veramente ingiusto.» Si pulì le mani sfregandole insieme. «E perchè la colpa sarebbe mia, Osborn?»

«I tuoi occhi potrebbero avermi distratto.»
«I miei occhi?»
«O il tuo profumo, devo ancora decidere.»
Morsi la pizza senza guardarla, ma sapevo bene di averla colta di sorpresa. Succedeva ogni volta che le dicevo la verità. Era uno dei motivi per cui si era innamorata di me; non riuscivo a non dirle quanto fosse bella senza trucco, con i capelli raccolti e con le guance piene del suo dolce preferito, che era anche il mio.

Alzai le sopracciglia e feci un mezzo sorriso.
«Hai perso le parole?»
«Certo che no.» Incrociò le braccia sotto al petto, aggrottando le sopracciglia come una bambina. «Sei-» Si fermò con la bocca aperta come se le parole arrivassero da un momento all'altro. «Sei irritante.»
«E perchè mai?» La voce più bassa, più roca.
«Perché riesci sempre a sorprendermi.» La voce si era abbassata e la distanza tra noi, diminuita.
«È un bene o un male?» Sentii le sue mani avvinghiarsi alla maglia e il respiro sempre più vicino.
Mi passai la lingua sul labbro inferiore impercettibilmente, avvicinandomi sempre di più.

Ancora, Ancora, Ancora.

I nostri respiri si fusero in uno soltanto e prima di chiudere gli occhi sentii la sua voce ridotta ad un sussurro.

«Devo ancora deciderlo.»

Le sue labbra sfiorarono le mie ed il suo calore mi pervase rimettendo insieme i pezzi con il miele del suo respiro.

Come un puzzle, le nostre anime si incastrarono senza sapere dove iniziava l'una e dove finiva l'altra.

Another Ghost RomanceWhere stories live. Discover now