Penelope

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Salutai la madre di Federico dal porticato di casa mia, da lontano. Non mi andava che vedesse in che stato mi trovassi e non mi andava di vedere lei che fingeva che tutto andasse bene. Doveva esser frustrante tornare a casa e aver bisogno di parlare con qualcuno, trovando persone che negavano l'esistenza del dolore soltanto per non provarlo.

Federico meritava di meglio, ma la famiglia è l'unica cosa su cui non abbiamo potere decisionale. La famiglia ti capita, esattamente come il giorno del compleanno, il colore dei capelli e l'orientamento sessuale. Quello che non è giusto è come gli altri ti critichino in base a cose che non puoi decidere. Ma la vita è ingiusta ed io e Fede lo sapevamo bene.

Anche Gin lo sapeva. L'aveva sempre saputo. Era cresciuta con l'idea di futuro inculcata nella testa fin da bambina. Un futuro che poi, per ironia, non ha avuto.

Portai fuori i cartoni delle pizze avvertendo nell'aria lo strano odore di pioggia che avrebbe colpito la zona nel giro di poco e chiusi gli occhi avvertendo un brivido lungo la schiena mentre il vento accarezzava la pelle delle caviglie scoperte, senza permesso.

Una volta rientrato, misi il guinzaglio al cane per portarla fuori in giardino, nonostante quella pigrona non ne avesse voglia. Mi buttai sul divano e finii la partita che avevo iniziato aspettando che le gocce facessero effetto quando sentii un tonfo provenire da sopra.

Penelope.

"Penny dai un po' di tregua al gatto, ti prego." Urlai continuando a premere tasti per fare le combo, come se vincere quella partita fosse il primo passo per riprendere in mano la mia insulsa vita.

Boom

Un rumore sordo di qualcosa che cadeva e il cane iniziò ad abbaiare come se qualcuno fosse entrato in casa. Di solito, quando era spaventata scendeva subito da me, veniva ad avvisarmi ma quello non fu il caso: ecco perché gettai il joystick al lato del divano e mi diressi verso le scale.

Uno.Due.Tre.Quattro.
Il cane non smetteva di abbaiare.

"Penelope?Cosa stai combinando lassù?" Urlai di nuovo. "Penny, vieni qui. Dai, vie-" Mi fermai all'istante quando trovai la porta chiusa. "-ni." Dissi piano raggiungendo la maniglia della porta incerto.

La maniglia era estremamente fredda a contatto con il palmo sudaticcio della mia mano.
Apri,Joe. Esitai alcuni istanti. Non seppi bene cosa fare, ma la risposta fu chiara quando iniziai a sentire Penelope piagnucolare dall'altra parte della stanza.

Entrai aprendo di botto la porta trovando il cane sdraiato sul mio letto. Mi avvicinai ed iniziai ad accarezzarla.
"Come hai fatto a chiudere la porta?" Scossi la testa. "Probabilmente le gocce iniziano a fare effetto." Mi passai una mano tra i capelli prima di continuare a darle dei buffetti sulla testa in prossimità delle orecchie come piaceva a lei, ma questo non bastò a renderla meno irrequieta. Continuò a muoversi ed agitarsi e quello fu uno dei motivi per cui le permisi di dormire con me.

Trovai la forza di infilarmi sotto le coperte togliendo solo le scarpe con il cane raggomitolato vicino allo stomaco che continuava a fissare il vuoto. La zampa posata sul palmo della mia mano.

Decisi di non darci peso.
Decisi che la colpa fosse delle tre gocce di Lexotan di troppo che mi scivolarono nel bicchiere.

Iniziò a piovere ed io mi addormentai, cullato dai tuoni che sembravano darmi sollievo mostrandomi che al mondo anche le tempeste potevano portare pace laddove non esisteva che il tormento.

Another Ghost RomanceWhere stories live. Discover now