II

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Ahi. Aveva detto solo questo. Ahi. Come se potesse anche lontanamente bastare a spiegare quel dolore immenso.
Nelle ore che seguirono quell'incontro mi chiesi più volte se non mi fossi solo immaginato tutto, forse la mia mente si prendeva gioco di me, forse avevo esagerato. Ma il ricordo di ciò che avevo provato era ancora troppo vivido per potermi davvero convincere che fosse tutto frutto della mia fantasia.
Ci pensai un bel po' su e poi, improvvisamente, realizzai che in fondo non importava: non sapevo nulla di quella ragazza, non sapevo il suo nome, cosa facesse nella vita, non l'avevo mai vista prima e probabilmente non l'avrei mai più rivista. Certo, c'era la possibilità di incontrarla ancora al supermercato o magari in giro per la città, ma nulla poteva farmi credere che sarebbe mai stato più che un incontro sporadico e privo di significato e di certo nulla poteva lasciarmi presagire ciò che sarebbe accaduto di lì a poche settimane.
Dopotutto avevo 21 anni ed ero in quell'età in cui ci si mette poco a lasciarsi gli eventi alle spalle, in più non sono mai stato il tipo che rimugina sulle situazioni, non prima di lei almeno. Così, molto semplicemente, la riposi in quella parte della mente dove la maggior parte dei ragazzi di quell'età conserva tutto ciò che vuole dimenticare o che è troppo da affrontare e per un po' funzionò alla grande.
Erano passate tre settimane e non l'avevo più degnata di un singolo pensiero; ripresi la mia vita di tutti i giorni: studio, sigarette, qualche amico, sesso e videogiochi.
Non potevo sapere che, mentre io mi sforzavo di non pensare a ciò che era successo, lei, nel suo piccolo grande mondo a me ancora sconosciuto, stava instancabilmente lavorando per ritrovarmi. E questa è la prima cosa che dovete sapere di lei: sarebbe sempre stata un passo avanti a me, mi avrebbe sempre anticipato.

Era un martedì, il giorno che odiavo di più, ed ero sopravvissuto a tre lunghe ore di letteratura francese quando, uscendo dall'aula, me la ritrovai davanti.
Se ci ripenso credo che fu in quell'istante che, così come l'avevo riposta nel dimenticatoio, la tirai fuori per non rimettercela mai più. Non lo sapevo ancora, ma non avrei mai più lottato contro l'istinto quasi vitale che da quel momento in poi mi avrebbe pervaso sempre quando fossi stato al suo fianco: il desiderio di ricordare.
Ad oggi, quando rammento gli anni dell'università, i ricordi si mescolano in una nube confusa ed evanescente. Eppure, tra quei ricordi sfocati, ce ne sono alcuni che spiccano, invece, vividissimi, più concreti che mai e questo è il primo di essi. Ricordo, di quel momento, ogni singolo dettaglio, ogni più piccola cosa, come fosse avvenuto ieri. Ma soprattutto ricordo il suo viso.
Se fosse stato un qualunque altro viso avrei potuto ingannarmi che non fosse lì per me, che fosse semplicemente di passaggio o aspettando qualche sua amica, ma il modo in cui quegli occhi meravigliosi si illuminarono e dardeggiarono verso di me non lasciava alcun dubbio: era lì per me.
Indossava un vestito di lino rosso e, per quanto fossi assolutamente sconvolto, non potei non sentirmi vagamente grato per il fatto che la stagione dei vestitini fosse alle porte e ancor di più del fatto che lei la stesse così apertamente anticipando. Ma fu solo un flash in un angolino della mia mente, perché tutto il resto di me era concentrato su un'unica domanda, forse un po' troppo banale rispetto alla portata di ciò che sarebbe successo in seguito: cosa ci faceva lei lì?
Mi avvicinai sforzandomi di mettere su lo sguardo più interrogativo che potessi tirare fuori, la guardai dall'alto del mio metro e ottanta e presi fiato per parlare ma lei mi aveva già anticipato.
- Ciao, l'ultima volta non mi sono presentata, mi chiamo Beverly. Ci ho messo un po' a ritrovarti ma per fortuna adesso ti ho trovato e volevo semplicemente scusarmi per essermi comportata in modo così scortese. Mi dispiaceva molto non averti ringraziato per le uova perciò grazie, ecco.
Parlò senza quasi prendere fiato e il mio cervello ci mise un po' a collegare le informazioni.
Beverly. Questo era il suo nome.
Aveva cercato di ritrovarmi. E come c'era riuscita?
Voleva ritrovarmi perché voleva ringraziarmi per le uova. Quali uova? Ah sì, le uova.
Con tutto quello che era successo in quei pochi minuti, lei era preoccupata perché non mi aveva ringraziato per le uova.
E come diamine aveva fatto a trovarmi?
Mentre le domande mi affollavano la testa, lei mi fissava con gli occhi sgranati e mi parve che potesse trapassarmi con lo sguardo e vedere gli ingranaggi che si muovevano freneticamente là dietro.
Quando finalmente mi sentii pronto a formulare una domanda, una qualunque, fu questa:
- Che ne dici se ci facciamo un giro?

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