CAPITOLO 11

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Jungkook

Quando avevo diciotto anni tutti mi dicevano che sarei diventato qualcuno di importante, qualcuno che funzionava, qualcuno che avrebbe avuto tutto.
Non mi facevo troppi problemi e non avevo peli sulla lingua.

E così fu o almeno, potevo dire di averci provato.

Avevo viaggiato senza una meta in giro per il mondo, facendo quel che c'era da fare, ogni fottuta cosa.
Ogni esperienza, dalle più crude e dure, alle più belle e romantiche. Avevo vissuto a pieno la mia vita, nessuno mi conosceva, nessuno mi amava e nessuno si intrometteva.

Non sapevo con certezza, il momento esatto in cui mi ero ritrovato a scrivere e come ci ero finito con una bottiglia da un lato e la penna dall'altro. Consumato da ciò che ero stato e che continuavo ad essere. Oppresso da quello che mi stava intorno, dalle scelte sbagliate a vagare senza meta immerso nei miei stessi peccati.
Probabilmente, la causa maggiore di quel limbo infinito in cui mi trovavo era stato per colpa di quella donna che avevo amato fino a farmi consumare il cuore.
Un cuore che ormai, non batteva neanche più. Troppo stanco, troppo spezzato.
Chissà come sarebbero andate le cose adesso, se non l'avessi mai conosciuta, se non gli avessi dato tutto me stesso e anche di più, ricevendo in cambio niente.

Non avevo nemmeno una famiglia. Non l'avevo mai avuta, in realtà.
Mio padre era un drogato malato, -secondo ciò che mi dicevano le suore dell'orfanotrofio- e mia madre mi aveva abbandonato quando avevo circa quattro anni.

La mia infanzia non fu poi così felice, nessuno mi prese con se perché troppo irrequieto, e già da allora capii che nessuno mi avrebbe mai amato veramente.
Ero un problema anche da bambino. E quale persona sana di mente si sarebbe preso carico di un problema vivente?

Nessuno.

Ero sempre da solo, sempre spezzato e odiato da tutti i bambini che mi vedevano come il ragazzo strano da cui scappare.

Le uniche a darmi conforto erano le suore, erano loro che mi avevano cresciuto e mi avevano dato un po' di fiducia. Almeno fino al compimento dei miei diciotto anni, quando me ne andai da quel posto per vivere la mia vita infelice.

Non mi ricordavo nemmeno quando fu l'ultima volta in cui ero stato davvero felice. Probabilmente, non era mai avvenuto.

Che poi, cos'era esattamente la felicità? Molti dicevano che tutti gli scrittori erano dei bastardi dannati e finiti.

"Spero di non essere uno di loro" mi dicevo spesso all'inizio della mia carriera.
Come se, se avessi avuto una qualche speranza di aggrapparmi a qualcosa a qualcuno capace di non farmi intrappolare mai negli abissi di tutto quello schifo.

Eppure, più il tempo passava, più mi sentivo così.

Semplicemente uno dei tantissimi.

Niente in particolare, se non quello che scrivevo.
Alla gente sembrava piacere, e donne e uomini mi si buttano addosso come se fossi fatto d'oro.

Mi veniva da ridere. Io ero tutt'altro.

Essere uno scrittore era bello finché si aveva qualcosa da dire, da raccontare. Da gridare, da far notare agli altri.

Io avevo troppo da dire e da scrivere, ma a volte, avevo la schifosa sensazione di gettare solo parole inutili sulla carta.

Che schifo! Non voglio essere ricordato per questo.

Il mio livello di sobrietà, in questo momento, era comunque scarso e una bionda stava ballando per me nel bel mezzo di un locale da quattro soldi.

Non avevo idea del suo nome e sperai con tutto il cuore che non ci fosse qualche fotografo in giro, pronto a mettermi nella merda con qualche scatto.

Give Me Your Forever | Taekook Where stories live. Discover now