4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore

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Quelle parole gli bastarono per afferrarmi per il braccio con la mano, una presa forte, di ferro. Mi trascinò contro la parete nascosta dalla mia vista, sentii la superficie ruvida del muro sulle mie spalle esposte dalla canottiera, la sua mano a circondarmi il polso.

Mi dimenai ridicolmente contro la sua figura alta e stagliata, le sue spalle larghe mi impedivano di guardare oltre e il suo viso adombrava il mio, tanto da riuscir a vedere chiaramente il colore denso dei suoi occhi, le sue pupille scure, come un'eclissi, a scuotersi sulla mia pelle, sulle mie guance. Aveva stretto la mascella, sembrava volermi prendere a pugni.

«Tu a me non mi conosci», disse chiaramente, la sua voce traboccante di fastidio nei miei confronti.

«E meno male, aggiungerei

«La cosa è reciproca», arricciò l'angolo del labbro. «Qua non stiamo a Roma e papino non ti para il culo ogni volta che vuoi. C'è gente che per vivere decentemente deve prendere la vita a schiaffi in faccia, perciò fatti i cazzi tuoi e vedi come nessuno c' pass p' miez» — «[...] ci passa per mezzo.»

«Fai quello che ti pare e piace, ma fuori da casa mia. Non mi sembra normale e rispettoso da parte tua», la mia gola si chiuse completamente; era asfissiante l'odore della sua pelle, così vicina e così illusionistica a contatto coi raggi del Sole che, quasi, mi bruciavano come un foglio contro la fiamma di un fuoco ardente. «E lasciami, coglione, che mi fai male.»

«Pensa a quello che sfaccimma vuoi tu, a me non frega proprio un cazzo», sbottò, con amarezza.

«Se non te ne frega proprio un cazzo, allora perché mi stai dicendo tutte 'ste cose?»

«Perché ti comporti come una fottuta bambina di cinque anni. Viziata e rompipalle, ecco perché.»

«Manco tu mi conosci.»

«E meno male, aggiungerei

«Vattene a fanculo», dissi tra i denti, spingendo le mani sul suo petto. «Levati di mezzo che se no ti prendo a schiaffi.»

«Non ti si addice quest'aggressività, principessa», si allontanò, piano.

«Stai zitto, che è meglio», sgattaiolai oltre al suo sguardo. Entrai in casa, e senza rispondere al "buongiorno" di mia zia, corsi in camera e sbattei la porta.

Fortunatamente, arrivò in fretta l'ora di pranzo, e, quando uscii dalla camera, Riccardo non c'era più. A pranzo, mio padre mi chiese se fosse andato tutto bene la mattina, io annuii, senza troppo impegno e senza dare importanza ai pensieri che rimbombavano nella mia testa.

Dopo pranzo, invece, facemmo un lungo bagno in piscina e prendemmo il Sole. Le mie cugine erano immerse nell'acqua, io, nel frattempo, ero distesa sulla mia asciugamano, una canzone di Cremonini in sottofondo e il rumore melodioso degli uccelli che si posavano sui rami soprastanti.

Decisi di andar a prendere qualche chicco d'uva in cucina. Mi alzai, sistemai gli occhiali da sole sulla testa, i capelli mossi a ondeggiare sulla mia schiena e le prime lentiggini procurate dal Sole a sbucare per tutto il corpo.

Entrai in casa, avvolta da una bolla di freschezza dovuta al contatto col pavimento freddo e il venticello leggero di metà pomeriggio nonostante il Sole cocente.

Afferrai una ciotola dalla credenza, alzandomi sulle punte. Staccai vari chicchi d'uva e li sciacquai velocemente. Mentre mi voltavo per ritornare in giardino, con un chicco tra le dita, sobbalzai trovandomi davanti la figura prorompente di un corpo imponente.

Indietreggiai. «Cristo, guarda dove vai», dissi.

«Veramente dovresti essere tu a guardare dove metti i piedi», prese il chicco d'uva che avevo tra le dita e lo fece scivolare oltre la curva morbida delle sue labbra.

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now