CHAPTER 1.

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DILARA
È mattina, mi sono svegliata tutta stordita e mi ritrovo in una camera a me sconosciuta.
Non so dove mi trovo, nemmeno in che città siamo. Non ricordo nulla.
Stropiccio gli occhi e mi tiro su con la schiena verso la spalliera del letto.
Indosso un completino di seta nero.
Il letto è sgualcito, ma ci sono solo io.
Subito dopo entra Veli.

«Hey, buongiorno. Ma dov'eri finito?» sibilo ancora stanca.
«Ero in bagno a farmi una doccia.» risponde con tono freddo.
«Hey, ma che hai? Dove ci troviamo?»
«Ricordi che siamo in Italia? In Sicilia?»
Lo guardo corrugando la fronte.
«Certo, come puoi ricordarti se eri ubriaca fradicia ieri sera!»
Sono sorpresa.
Davvero mi sono ubriacata?
«Ma come?» chiedo ancora incredula.
«Sì, non ricordi proprio niente? Allora cercherò di rinfrescarti la memoria.»
Si siede sul letto matrimoniale.
«Ieri sera siamo andati in una discoteca, hai bevuto due spritz, ubriacandoti e continuavi a fissare un ragazzo, facendogli gli occhi dolci.»
«Scusami, non ricordo nulla.» dico, abbassando lo sguardo.
«Vatti a fare una doccia. Ho pagato l'hotel per una notte, dobbiamo sgomberare tra un'ora.»
«E dove andremo?»
Lui non risponde, senza guardarmi esce dalla stanza.
Così, mi alzo dal letto e mi dirigo in bagno. Mi spoglio, raccolgo i capelli ed entro nel box doccia. Faccio scorrere l'acqua tiepida sul corpo, cercando di ricordare l'episodio ma nulla.
L'acqua ha lavato ogni pensiero, cerco di non pensarci.
Mi asciugo e mi lavo i denti, poi raggiungo l'altra parte della stanza e mi vesto. Indosso un abito nero, lungo e aderente con le bretelline. Mi trucco e spruzzo il mio profumo. Sono pronta.

|parte la canzone: "Shadows" di Black Atlass"|

Veli rientra in camera, tutto infuriato.
«Dilara, con me hai chiuso!»
Si reca verso la veranda che è di fronte la camera da letto.
Apre con forza le ante del finestrone, ed esce.
Io lo raggiungo perché voglio una spiegazione.
«Cosa stai dicendo?» chiedo, non capendo cosa stesse succedendo.
Lui, nervoso guarda l'orologio alzando il braccio sinistro.
È appoggiato alla ringhiera della veranda.
Mi accorgo di un uomo che ci sta fissando sulla veranda di un palazzo molto lussuoso, sembra un castello.
Quest'uomo sta tenendo in mano un giornale, mentre fuma un sigaro. È molto giovane, moro, alto e tatuato.
Ci sta guardando.
«Mi spieghi che diavolo ti prende?»
Alzo la voce per farmi sentire.
Veli si gira verso di me.
«Cosa diamine ci facevi ieri sera con quell'uomo? Eh? Ti sei divertita a strusciarti su di lui? Lo hai provocato, facendogli gli occhi dolci, stuzzicandolo con le tue movenze sexy. Lo hai perfino baciato. Ed io? Io dov'ero?»
Lo guardo dispiaciuta, quasi con le lacrime agli occhi, perché mi sta urlando contro.
«Te lo dico io dov'ero. In bagno. Come un idiota, non a conoscenza di ciò che faceva la mia donna. Ti ho lasciata per cinque minuti da sola, e tu hai combinato il delirio.»
«Scusami, ero ubriaca.» sibilo, avvicinandomi a lui.
«Non è una giustificazione, cazzo!»
«Non ero in me.» dico prendendogli le mani.
«Non toccarmi, mi fai schifo. Ti sei fatta riconoscere. Una poco di buono, mi hai cornificato davanti a tutti. Devi solo vergognarti!» mi respinge.
Le lacrime iniziano a rigarmi il viso.
Sta usando parole pesanti nei miei confronti.
«Io non ricordo nulla, non era mia intenzione.» proferisco.
«Non toccarmi, dannazione! Non sei più quella che conosco. Guardi troppi uomini. Non sei più seria.»
«Veli, ti prego. Io ti amo.»
«Ti lascio, con me hai chiuso. Raccatta le valigie e vattene.»
«Veli, non puoi dirlo sul serio.» dico portandomi le mani alle labbra.
Sono letteralmente in lacrime, incredula di ciò che sta accadendo.
«Non puoi farlo.» continuo, supplicandolo di perdonarmi.
«La mia famiglia, se lo scoprisse ti ucciderebbe. Lo sai benissimo quanto siano severi i miei genitori. Non puoi fare la sgualdrina con altri uomini. Non lo tollero.»
«Ti prego, perdonami.»
«Basta, io parto per la Turchia. Tu devi restare qui in Italia. Non hai più niente lì. Sei completamente sola al mondo. Avevi me, ma ora mi hai perso.» sbotta e poi entra in camera per poi andarsene.
Io rimango lì, piazzata nel bel mezzo della veranda.
Mi accovaccio e piango.
È assurdo tutto questo.
Sono rimasta sola. Non ho più nessuno in Turchia. E mi tocca rimanere qui in Italia.
Se solo i suoi familiari avrebbero scoperto tutto ciò, non sarei viva.
La famiglia di Veli è molto esigente e stabilisce le regole. Se non vengono rispettate, accadrebbe il delirio.
È una famiglia molto religiosa, credente.
Mi alzo, mi asciugo le lacrime e sospiro. Sono ancora diffidente, scettica e mi rifiuto di credere a ciò che è appena successo.
Decido di raggiungere Veli. Mi metto a correre e mi trovo in poco tempo giù per strada con lui che si sta infilando in macchina.
«Veli, fermati. Cazzo!»
«Che altro vuoi? Levati, potevi pensarci prima.»
«Ero ubriaca, cazzo. Non capisci?»
Cerco di fermarlo.
Lui mette in moto il Range Rover.
«Ti prego, fermati. Parliamone con calma.»
«Non parleremo ancora di questo a tavolino. Hai fatto ciò che non dovevi fare. Ti avevo solo chiesto di non...»
Mi guarda negli occhi e nota che i miei luccicano, con le lacrime che vogliono scendere.
«Ti avevo chiesto di amarmi per davvero e di non tradirmi.»
«Ma non ci sono andata a letto.» dico portandomi una mano fra i capelli, nervosamente, con le lacrime che escono involontariamente dai punti lacrimali.
«Non significa nulla, non dovevi farlo. Ed ora...lasciami andare, non voglio più vederti. Sgombera dall'hotel. Trovati un posto dove andare, dove vivere. Perché dovrai farti una nuova vita. Addio.»
Dice per poi accelerare in tutta velocità, senza rivoltarsi indietro.
È finita, Dilara. Sei sola.
Mi sento uno schifo. Una donna sbagliata.
Non posso fare più niente. Non posso fare altro che prendere le mie cose e andare via. Non so ancora dove, ma andrò dove mi porta il vento.
Salgo in camera e prendo i bagagli. Successivamente lascio l'hotel. Mi trovo in strada. Guardo a destra e a sinistra. È deserto.
Guardo avanti a me e solo ora riesco a notare lo stesso uomo che era affacciato di fronte a noi.
Mi raggiunge.
«Buongiorno, so che non avrei dovuto seguire il vostro litigio, però mi ci sono trovato. Se posso essere così gentile, la inviterei volentieri ad abitare da me per quanto tempo le sia necessario.»
Lo guardo in silenzio, in tutta la sua bellezza.
«Ah, mi scusi. Piacere, Michele. Quello lì è il mio palazzo. C'è posto per lei, visto che non sa dove andare. Potremmo anche conoscerci, se le va.»
«La ringrazio per questa proposta ma...» comunico, non finendo la frase.
«Non accetto un no come risposta. Vorrei esserle d'aiuto.»
Ci penso un attimo e apparentemente, quest'uomo sembra gentile. In fondo mi sta offrendo un posto dove abitare.
«D'accordo.» accetto la sua proposta.
«Bene, lasci che l'aiuti.»
Prende due valigie e mi fa strada.
Entro in questo palazzo enorme. Da dentro è una meraviglia. Tutto così lussuoso, con divani bianchi e neri, monocromatico.
Sembrerebbe una villa.
C'è anche il giardino e una piscina grande. Statue giganti di leoni, tavolini di cristallo e candelabri e lampadari di diamanti.
«È bellissimo.» dico meravigliata.
«Vero?» mi sorride Michele.
Il mio sguardo si sposta dai lampadari ai suoi occhi dolci.
Michele. Un uomo così dolce, generoso e gentile. Ed è anche di una bellezza unica. Davvero incantevole, così sexy.
Gli sorrido.
Non poteva capitare in un momento così giusto. Non posso mica piangermi addosso per una cosa che non ho fatto.
Veli mi è sembrato strano. Sospetto di lui.
«Le faccio vedere la sua camera.» aggiunge, salendo le lunghe scale a chiocciola.
Perfino le scale sono molto belle, tutte trasparenti con i brillantini incorporati.
E la ringhiera nera, di classe.
«Sembra un castello. Ci vive solo lei?» chiedo curiosa.
«No, ci sono le donne della pulizia e dei miei...uomini.»
«Uomini?» domando confusa.
Lui ignora la domanda e mi fa entrare in quella che dovrebbe essere la mia camera.
«Si sistemi qui. Vado di sotto.»
«Grazie.» dico per poi chiudere la porta.
Sistemo le valigie, infilando i miei abiti in un grandissimo armadio.
È tutto magnifico.

Finito tutto, decido di scendere giù e raggiungere Michele per conoscerlo meglio.
Esco delicatamente dalla stanza, chiudendo piano la porta e avanzo verso le scale. Mi soffermo ad affacciarmi, notando dall'alto la vastità del salone.
«Oh, eccoti. Posso darti del tu?» mi chiede lui sorridendomi ancora.
Mi tratta da principessa.
«Certamente, Michele.» ricambio il sorriso.
Scendo le scale, facendo scivolare la mano destra sulla ringhiera.
«Se ti va, potremmo fare colazione in giardino.»
«Mi farebbe piacere.»
«Signora Marta, mi porti la colazione.» ordina a una cameriera.
Mi accomodo su un divano bianco, molto soffice.
«Quindi...sei un uomo single?» mi azzardo a chiedere.
La colazione arriva. Dei croissant caldi e fumanti alla Nutella, su un vassoio d'argento e una caraffa di succo d'arancia.
«Grazie, Marta.» dice lui.
«Sì, sono single. Sono in cerca di una donna che mi ami per quello che sono.»
«Sono sicura che arriverà presto.» dico sorseggiando il bicchiere di succo versato da Michele.
«Me lo auguro. Magari il destino sta muovendo qualche pedina.»
Sbatto le palpebre, facendo un lieve sorriso.
Michele alza lo sguardo verso di me.
I suoi occhi incontrano i miei.
Intimidita, abbasso lo sguardo, continuando a sorseggiare il succo.
Scosto una ciocca di capelli che mi è scivolata sul viso a causa di un lieve venticello.
Tra noi cala un silenzio tombale.
Ci limitiamo a guardarci negli occhi.
Prendo un croissant, mentre noti avanzare verso di noi un altro uomo.
«Signor Michele, dobbiamo risolvere un problema. Ah, mi scusi.»
Si scusa con me.
Noto Michele che si alza in piedi di scatto.
«Andiamo di là. Scusami...non mi hai detto il tuo nome.»
«Dilara.» dico io mordendo il croissant.
Lui resta a guardarmi per qualche secondo, come se fosse incantato.
«Mi assento un attimo.» aggiunge.
«Sì, tranquillo.»

I due vanno nel salone.

MICHELE
«Cosa c'è?» chiedo io sbuffando.
«Chi è quella donna?»
«Una che è stata appena lasciata dal suo uomo, l'ha piantata e se n'è andato via. Non sa dove andare.»
«So che cosa vorresti farci con lei. Non devi.»
«Voglio solo che sia la mia donna.»
«Non puoi obbligarla ad esserlo. Lo hai fatto già con altre donne e non ne sei uscito vincente. Hai sempre fallito.»
«Massimiliano, ascoltami bene. Faccio ciò che voglio con le donne. Non sei tu a decidere cosa farne. Ti è chiaro?» dico con tono minaccioso.
«Vedi di non farmi incazzare.» continuo.
«Scusa.»
Massimiliano è uno dei miei uomini. Mi è stato molto vicino dopo la morte di mio padre. È stato suo amico. Prima era mio padre a capo della famiglia.
Ora lo sono io.
«Di che problema dovevi parlarmi?» chiedo, accendendomi una sigaretta.
«Abbiamo trovato l'assassino di tuo padre, colui che l'ha sparato un anno fa.»
Rimango sorpreso.
«Dov'è quel bastardo?» alzo la voce, infuriato.
Avanzo verso il porticato.
Massimiliano mi segue.
«È lui.»
I miei uomini l'hanno catturato.
Inizio a dargli un pugno.
«

Brutto bastardo!» gli urlo contro.
«Perché cazzo lo hai sparato?» continuo.
Un altro pugno sul suo volto schifoso.
I miei uomini lo reggono forte. Lui getta la testa all'indietro per il dolore.
«Adesso ti ammazzo. Non ho nessuna pietà. Come uccidesti mio padre, adesso ucciderò te.»
Con un pugno lo stendo a terra.
Gli do un calcio, e un altro ancora.
E poi, sfilo dalla tasca del pantalone una pistola.
«Basterà un colpo solo per mettere fine alla tua vita.»
«Non premere quel grilletto.» dice il bastardo piangendo.
Mi inginocchio davanti a lui.
«Perché? Tu non lo premesti quel giorno? Eh? Rispondi, cazzo!» mi altero.
Lui piange come un bimbo piccolo.
«Smettila di piagnucolare, non serve. Non ti risparmierò. Tu non lo hai fatto con mio padre. Hai premuto quel grilletto senza pietà, ed ora lo farò io con te.»
Queste sono le mie ultime parole.
E poi boom. Lo sparo.

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