Capitolo 14 - Quello di cui ho bisogno

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Si spostò alle sue spalle, sollevando lo sguardo alla finestra. Fuori era così buio che poteva vedere il loro riflesso sul vetro, e notò le labbra di Chloe distendersi in un sorriso quando la avvolse tra le braccia, stringendola al suo petto.

«Preferisci che ci sediamo?»

Chloe annuì, lasciandosi guidare verso il divano. Subito si accoccolò al fianco di Brycen e si ritagliò lo spazio per posare la testa nell'incavo tra collo e spalla, cingendogli il busto con le braccia. Non sembrava una posizione comoda, ma Brycen la sentì sospirare di sollievo.

«Qual è il problema con quella scena? Pensi di non essere in grado di scriverla?»

«Oh, no. So come farlo, non è la prima volta che succede.» Chloe liberò una risata amara, ritirando le gambe al petto. «Ho scritto così tante scene simili che dovrei essere abituata, ma è come se funzionasse tutto al contrario, più vado avanti e meno lo sopporto. So che devo farlo, ma non voglio. Mi sembra così... sbagliato.»

«Tratta argomenti delicati o difficili da digerire? Oppure trasmette un'ideologia che non condividi?»

«Qualcosa del genere. Di solito mi dico che non dovrei agitarmi tanto per un libro. Non è reale, non ha nulla a che fare con me e nessuno saprà mai che l'ho scritto, quindi non importa. Stasera però non ha funzionato. È stato orribile, non riuscivo a sopportarlo, non so neanche dire come riuscissi a farlo prima. Mi sentivo così male, e se solo ci ripenso...» Chloe chiuse gli occhi. «Mi dispiace, Bry. Non sai quanto mi dispiace, io non... Oh Dèi, mi sento così stupida. Deve sembrarti un discorso assurdo.»

«Va tutto bene, tesoro.» Brycen le scostò i capelli dal viso, sfiorandole il mento per invogliarla a sollevare lo sguardo. «Non sei stupida. Che un libro ti abbia turbata tanto non è assurdo, ma sintomo della tua passione: metti te stessa in tutto ciò che scrivi e ogni parola vergata ti rappresenta, come fosse un'estensione della tua identità. Forse adesso non lo percepisci come tale, ma io lo considero un notevole pregio, Chloe.»

«Però è il mio dovere» sussurrò lei, abbassando di nuovo lo sguardo. «Sapevo di doverlo fare. Ho dato la mia parola, ho detto che avrei dato priorità al libro e non posso rimangiarmelo solo perché non mi va. Questo lavoro è... è importante, Brycen. E per quanto sia sgradevole, comprendo perché sia necessario scrivere certe scene. Eppure... non sono pentita di essermi tirata indietro, neanche un po', e non riesco a capire se sia o meno una cosa positiva. Ho fatto la scelta giusta o mi sono comportata da egoista?»

Brycen inspirò a fondo, poi gettò fuori l'aria in un lento sospiro. «Temo di non essere in grado di definirlo. Non posso offrirti il mio parere in merito, se non so neppure cos'avresti dovuto scrivere.»

Chloe chinò il capo, le labbra ridotte a una linea sottile. Quella non doveva essere la risposta che sperava di ricevere. Forse aveva ragione Mari, che definiva Brycen terribile nel consolare le persone, ma in che modo un falso conforto avrebbe potuto essere d'aiuto?

«Mi dispiace, Chloe. Forse preferiresti sentirti dire che hai preso la decisione migliore, ma se anche lo facessi le mie parole non avrebbero alcun valore. Sarebbe una consolazione vuota, e tu meriti più di questo.» Brycen la strinse ancora più a sé. Le accarezzò il dorso della mano, poi intrecciò le dita con le sue. «La verità è che forse hai fatto la scelta giusta, forse sei stata un'egoista, forse entrambe le cose e forse nessuna. È una domanda troppo complessa. Esiste cos'è giusto per te, per il committente, per la legge o per una qualche etica... Quattro risposte differenti, eppure ugualmente veritiere. Non vige una morale universale che ci consenta di definire cos'è giusto e cos'è sbagliato in senso lato, perciò chi può decidere se l'una sia più valida delle altre? Se anche una di esse risultasse tale ai nostri occhi, dovremmo chiederci se i nostri criteri di valutazione si possano definire realmente oggettivi.»

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