36. Un altro giro di giostra

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*** Spazio autrice che di solito non mi prendo mai ma qui serve una premessa ***

Mi scuso in anticipo, perché questo capitolo sarà eccessivamente basato sulla realtà, e, perciò, eccessivamente pesante. Il problema è che più scrivo cercando di rimanere realistica, più la realtà diventa peggio delle idee che scarto perché sarebbero troppo tragiche o troppo assurde.
Come sempre la storia è romanzata, ma i dati e gli avvenimenti sono, purtroppo, basati su una storia vera.
Siete tantissimi ad aver letto la mia storia finora, e non so davvero come ringraziarvi. Spero sempre di donarvi una lettura piacevole, un po' di divertimento, ma se posso servire anche a riflettere su cose più importanti, almeno ogni tanto, ci provo.
Davanti ai fatti del fine settimana del gp di Jeddah mi sono sentita veramente impotente, e questo è l'unico sfogo che ho.
Scusatemi, vi prometto che il prossimo capitolo e la nuova storia che sto preparando saranno molto più leggeri e arriveranno presto.

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Elsa ama il suo lavoro, in ogni parte, anche le più difficili.
Ha amato il suo lavoro mentre l'ha aspettato per dieci anni, passati sui libri e in tirocinio, potendo solamente guardare altri medici di giorno e studiare sognando di diventare un medico di notte.
Ha amato il suo lavoro anche a Chicago, anche alla fine di turni di 52 ore, anche davanti a tragedie che non era riuscita a fermare.
Ha amato il suo lavoro anche in Africa, anche davanti ai bambini che non aveva potuto salvare.

Ma quella sera lì, a Jeddah, avrebbe voluto scappare. Andarsene urlando in faccia a tutti quanto schifo faccia questo mondo, gestito in questo modo.

Venerdì pomeriggio c'è stato un attentato, a pochi chilometri dal circuito. Elsa si è spaventata molto, e con lei tutti i piloti e i lavoratori del paddock, ma per i dirigenti sembra tutto normale. Infondo la guerra in Yemen in cui è coinvolta anche l'Arabia Saudita dura dal 2015... basta ricordare al resto del mondo di dimenticarlo.

Venerdì notte i piloti si sono riuniti, e dopo quattro ore di discussione erano tutti d'accordo per tornarsene a casa senza correre, per dare un segnale di cambiamento in questo mondo governato solo dai soldi. Pochi minuti prima che annunciassero la loro decisione è arrivata la minaccia di perdere il visto per lasciare il Paese: o correte, o non ve ne potete andare da qui.

E, certo, non è rassicurante pensare di avere dei guai con la giustizia in un Paese che, due settimane prima di organizzare il GP di Formula Uno, ha eseguito 81 condanne a morte in un solo giorno. Un paese in cui la pena di morte è prevista anche per "reati" come l'omosessualità, la stregoneria e l'adulterio.

A Elsa viene da vomitare solo a pensarci.

All' 1.15 della notte di venerdì il suo cellulare squilla. È Charles.
Dalla voce sembra stanco, arrabbiato e terrorizzato allo stesso tempo.

"Elsa, ci hanno detto che ci tolgono il visto. Possono farlo davvero? Cosa devo fare? Ero d'accordo per non correre, ma io ho paura. Non voglio finire nei casini. Scusa se chiamo te a quest'ora ma non so davvero cosa fare."

Lei non sa cosa rispondere, sa che la cosa giusta sarebbe convincerlo a lottare, a unire gli altri, sono davanti ai riflettori di tutto il mondo, non possono essere minacciati sul serio.
O forse si.
Elsa gli parla un po', ma alla fine la paura prevale, in entrambi.

"Ok, lasciate perdere. Hai fatto quello che hai potuto, domani tutti sapranno che avete discusso per quattro ore perché non avreste voluto correre ma vi hanno costretto. Dategli quello che vogliono, tra due giorni ce ne andiamo da questo posto."

Sono quasi le due di notte, la riunione termina, i piloti tornano in albergo. Tutti si cambiano e si stendono sul letto provando a dormire, pochi ci riescono.
Charles sta ancora tremando per la tensione, la rabbia, la paura.
Bussa alla porta della camera di Elsa, lei lo fa entrare e lo abbraccia forte.

Are You Ok || Formula 1Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ