incontare

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La paura si impossessò del mio corpo, ma la mente era pronta: la freccia incoccata, i piedi veloci, l'anima leggera. Le spighe di grano si muovevano suadenti. Anita era tesa, la mascella contratta, sembrava che la sua vita fosse in bilico su filo predestinato a spezzarsi. La sua era una storia intrigante e complessa e in quel momento sentendo la morte così vicina se la vide passare davanti in un frammento di attimo, lo notai dalla particolare luce negli occhi che sembrava il riflesso di un film.

Anita era figlia di due operai del comune di Velmager. Alis, la madre, lavorava come muratrice delle case umane, era nata anche lei a Velmager, in una casetta sulla collina. Era in legno scuro, il fumo della pipa del nonno si attaccava alle pareti e i quadri portavano con se il trascorrere del tempo. Appesi prima c'erano i disegni infantili di Alis, uno in particolare raffigurava il mare di un paese lontano, o almeno è l'interpretazione che aveva dato Anita la prima volta che era entrata in quella casa. Anita era fatta così, vedeva in qualche linea blu un mare remoto, si immaginava i nomi dei tritoni e delle sirene che avrebbero potuto abitarlo. Con il passare del tempo i disegni divennero sempre più specifici, ora erano case e palazzi, ora ponti e gallerie, poi strade grigie e oggetti mai visti. Anita diceva che erano i disegni del futuro e pensava che la madre dovesse fare altro nella vita e non solo impilare mattoni e montare assi di legno. Tristan, suo padre, invece veniva da Furtress una cittadina sul fiume. Era cresciuto in una casa con un mulino ad acqua, abituato a lavarsi nella corrente e a pescare dal balcone. Ricorda quando il sole batteva sul suo viso dai tratti così dolci e arrendevoli. Era orfano da tutta la vita e la zia l'aveva cresciuto a suon di urla e cattiveria, lui però aveva sempre risposto con la gentilezza e l'educazione, che aveva trasmesso alla figlia. Anita prendeva dai genitori i gesti posati, la manualità e aveva un senso innato di coraggio. Era nata in un rudere coperto di edera e glops, un'erba che genera fiori viola, un colore denso, al sole lucente e limpido. Le piaceva raccoglierli e intrecciarli per creare corone da regalare alla sorella, Antra. Antra era la gemella di Anita, una bambina che aveva ereditato i tratti del padre, il viso tondo e gli occhi grandi, differentemente da Anita che aveva lineamneti definiti e occhi felini. Giocavano spesso alla locanda di Belle: rubavano le chiavi e si nascondevano nelle stanze, la loro preferita era quella destinata ai demoni, completamente bianca, con le pareti lisce e le lenzuola morbide, i biscotti al cocco sul comodino e la luce accogliente. Poi scappavano e ritornavano nel giardino, sdraiate tra i glops. Poi un giorno, ormai adolescenti, Antra prese una strada differente per ritornare a casa. Era buio, la luna non brillava e le stelle erano spente. Per le vie di Velmager non si sentiva neanche il frusciare del vento. Antra procedeva a passo lento, godendosi quella notte così misteriosa e particolare, quando ballando tra le ombre delle case, notò un cacciatore di draghi dietro di se. Non si preoccupò finché non realizzò che la stesse seguendo. Antra corse veloce, era estate e la gonna corta le si alzava in quei movimenti colmi di paura. Il terrore la invase come sabbia nell'acqua. Sbagliò strada e si perse in quel paesino una volta amico. Ora tutto le sembrava avverso: le case troppo anguste, le porte chiuse, gli abitanti indifferenti alle sue urla di aiuto. Tutto le era nemico. Continuò a disperarsi e a correre, un passo, una lacrima, un singhiozzo. Il cacciatore di draghi la raggiunse. Nessuno sa cosa successe dopo. Il corpo non venne mai trovato, l'assassino o il rapitore non fu mai scoperto. Anita inziò da quel giorno a respingere la cittadella, provava una forte repulsione nei confronti di Velmager, ormai nella sua mente quella era una città senza giustizia. Così si rifugiava nei locali a bere, ballare e rimorchiare. Ripercorse i momenti felici e li confrontò con quelli mesti: i pensieri lieti erano pochi e risalivano a un tempo troppo lontano, quelli affranti erano tanti. La sua vita dopo l'evento era mutata. Pensò alla sua prima cotta, agli occhi illuminati dell'amata, ricordò anche la loro ultima lite: una serie di silenzi e e frasi bloccate in gola. Si chiamava Reddy il suo primo amore, era una ragazza con curve ben accentuate, un carattere spigoloso e occhi da basilisco, verdi e senza cuore. La sua freddezza si fondeva con la bontà e il sorriso di Anita. Reddy aveva attacchi di rabbia che cercava di sopprimere inutilmente, alzava le mani e le persone che le stavano intorno spesso si ritrovavano con qualche livido sul corpo. Tutti tranne Anita, su di lei non aveva mai alzato un dito, la sfiorava solo ed unicamente durante l'effusioni d'amore. A loro piaceva sciogliere le iridi e creare un nuovo colore dato dalla fusione dei tante sfumature intorno la pupilla. Quelle due potevano rimanere a rimirarsi negli occhi dell'altra per ore. Ma Anita infondo sapeva che non era la persona giusta per lei, perché ogni volta che si guardavano c'era una vocina che le ricordava l'ultima luna piena, quando con le sue affilate unghie da strega aveva graffiato l'occhio destro di Alis. Solo dopo altri due cicli lunari Anita prese coraggio e riversò, con la sua caratteristica schiettezza, che non accettava più di condividere un sentimento così forte con qualcuno di così debole. Reddy l'aveva presa bene: aveva annuito e se ne era andata lasciando Anita senza parole per la reazione così gelida e razionale.
Dopo nella testa di Anita passarono le varie cotte, durate così poco, forse avevano ancora qualche battito da dedicare.
Continuò a rimembrare finché un rumore più chiaro e vicino la riscosse dai mille pensieri.

generazione nascostaWhere stories live. Discover now