Prologo

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Seconda stella a destra e
poi dritto fino al mattino.

In una rumorosa notte di inizio autunno, dei lampi riempirono la mia stanza, mentre stavo tranquillamente sfogliando le pagine di uno dei romanzi più belli della mia infanzia, fino a quando non sento una vocina piccola e stridula che mi chiamava dal fondo delle coperte.
«Sorellona cosa leggi?»
«Le fantastiche avventure di Peter pan.»
«La leggeresti anche a me.»  i suoi adorabili occhi, che si riempivano man mano di supplica e felicità. Mi avevano tradito di nuovo.
«Dai salta su.» gli dissi indicando il letto.
«Si!»  esclama sorridendo mentre cercava di scavalcare, quelle che lui chiamava "montagne da scalare", le coperte.
«C'era una volta.»
«Già iniziamo male, perché stai per leggere una fiaba?»
«Perché solo con le fiabe possiamo scappare dalla realtà.»
«Esatto, quindi John puoi anche andare altrove se non vuoi sentire.»
«Dove eravamo, certo.» - «C'era una volta.»
«Aspetta, un'ultima cosa.»
«Cosa vuoi.»
«Benny lo sai che queste fiabe che ti racconta la grande sorellona, Amara, non sono la realtà e che non esiste nessuna isola che non c'è, ormai sei grande hai sei anni.»
«Se ci credi, certo che esiste, tu sei cattivo.» ecco fatto, quell'imbecille di John ha fatto piangere Benny, cosa darei per ritornare nel grembo di nostra madre e strozzarlo.
«Ricorda sempre piccolo mio, che solo chi crede alle fiabe e alle favole, può viaggiare in prima classe per la fantasia»
«Hai ragione Amy, ora vado a dormire è tardi, ma promettimi che un giorno riusciremo a leggere insieme Peter pan» si asciugò in fretta le lacrime e furono le ultime parole, dette singhiozzando. Era incredibile come potesse cambiare così in fretta umore.
«Certo piccolino, notte»
Finalmente sola ma evidentemente, quella, non era la serata giusta per leggere, gli occhi pian piano si chiudevano fino a non vederci più, cadendo in un silenzio quasi imbarazzante, tra me e l'oscurità, tra le pupille dell'occhio. L'unica cosa che non smetteva di parlare era la mia mente caotica, che metteva in primo piano tutti i pensieri che fino a qualche momento prima non avrei mai pensato di possedere. Solo grazie a quei pensieri realizzo che domani è il primo giorno di università alla grande Oxford. Calò così un silenzio, tra le vibrazioni emesse dai grilli e dai sogni che mi facevano entrare in un mondo tutto mio.
«Amara, dove sei, maledizione, come è possibile che non ti trovo già da inizio mattinata.» eccola, sgargiante come ogni mattina, che mi cerca per tutta la villa, anche se, sa già dove mi trovi.
«Mamma, sono qui dimmi.» le rispondo mentre sistemavo i suoi strumenti.
«Non sei troppo grande per l'arco e le frecce?»
«Come osi. Questa è un'offesa a Robin Hood.» e ora alza gli occhi al cielo, sospira e fa quel sorrisino nervoso.
«Va bene, ma ora preparati che dobbiamo andare.» potevo prevedere ogni sua mossa, ogni singolo passo e ogni suo stato d'animo.
«Sono pronta, guarda come sono lucenti questi nuovi pantaloni?»
«Stai scherzando spero, vuoi andare a scuola con quei cosi.»
«Pantaloni.» la corressi.
«Non c'è la faccio a battermi ancora con te, va, prima che ti mandi a calci a cambiarti» nemmeno il tempo di replicare che già stavo andando verso una delle tre macchine. Non era un Aston Martin e nemmeno una delle Bentley, era la mia preferita, una stupenda AC Cobra 289 tutta nera e col davanti le mie iniziali. A.W.
«Amara Wilson.»
«John Wilson, cosa vuoi.»
«Così si saluta al tuo adorabile fratellino?» esclama arrogante.
«Comunque sono qui in pace, la mia macchina è rotta, posso venire con te?» continua alzando le mani di arresa.
«Neanche per sogno fratellino, prendi un autobus. Guarda, proprio lì.» gli stavo indicando la fermata che doveva prendere, ma quel piccolo uomo basso, moro e occhi color miele, già si era diretto sul sedile anteriore della macchina. «Come non detto, ti ci porto ma solo per oggi.»
«Che onore.» lo ignorai e mi avvicinai a Benny.
«Ehi piccolo non piangere, lo sai, che ti verrò a trovare spesso, e...» stavo per cercare il libro nello zaino, ma lo aveva in mano già lui.
«Tieni ti era caduto prima.» esclama asciugando le ultime lacrime con le sue minuscole mani di seta.
«No Benny, lo stavo cercando per te, promettimi che lo leggerai e che crederai sempre alle fiabe.»
«Te lo prometto, ma ora con chi combatterò, se non c'è Capitan Uncino.» lo stava dicendo ancora con qualche lacrima che cercava di nascondere, tra gli zigomi. "Quei suoi occhi verdi brillanti mi mancheranno." «C'è sempre la mamma.»
«Ma lei è vecchia.»
«Come scusa, signorino.» feci segno a mamma di non continuare rassicurandola e mi rivolsi di nuovo a lui.
«Certo, ha una certa età, ma anche capitan uncino era vecchio, ma se mamma non vuole, c'è sempre il nostro maggiordomo Milord, fidati è un vero attore.» gli strappai un piccolo sorriso, lo salutai un'ultima volta e prima che potessi allontanarmi troppo, sentii, la signora Wilson che ci gridava: «State attenti e tu, Amara, stai attenta, non è solito vedere una donna con i pantaloni.» dopo quell'affermazione non sentii più nulla solo mio fratello che si lamentava di dover ritornare a scuola dopo tre mesi di vacanza, era anche ora che ritornassimo. Ero emozionata, l'università, sarà bella? E se non mi trovassi bene? E se trovavo persone cattive? E se non trovassi nessun amico? Subito mi tolsi quei pensieri dalla testa, ero Amara Vivianne Vania Wilson, nessuna cosa e nessun essere umano mi faceva paura, potevo farcela, dopo tutto porto i pantaloni no? In un'epoca non molto semplice, pregiudizi, il giudizio, era ormai quotidiano. Nel frattempo che nella mia testa faceva tutto questo monologo. Sulla terra ferma, ci siamo fermati in un luogo al quanto sperduto per fare il cambio, così io salto dal lato passeggeri e do il comando a mio fratello.



[...]
Seconda stella a destra e
poi dritto fino al mattino.

«Signorina Williams, vi ho cercato dappertutto.» disse esausto.
«James, sapete che suono ventiquattro ore su ventiquattro, ditemi.»
«Prima di tutto, siete bravissima al piano, vi sentirei per ore, poi ho ricevuto questo pacco da parte di vostro padre prima che se ne andasse, credo che sia arrivato solo ora da Parigi.» di colpo Dalila smette di suonare, un regalo, ma non un regalo qualsiasi, un regalo da parte del padre.
«Questa collana con il sole e la luna, rappresenta i due stati d'animo che sentiva quando era al tuo fianco, il sole per la felicità che gli trasmettevi e la luna per la calma con cui placava la sua rabbia.» l'unica cosa che la ragazza riuscì a fare è abbracciare il vecchio James, prima di iniziare a piangere, quest'ultimo disse in modo nostalgico: «Tuo padre era un grande soldato, rammenta e sii fiera di lui sempre» è allora che le lacrime finalmente scesero sul suo viso come una pioggerellina estiva.
«James ora puoi andare.» le sue ultime parole prima di tirare la porta in pieno viso al povero James.
«Lo sai, non riesco a fare a meno di notare che sembri leggermente in guerra con te stessa.» sentì una presenza, dietro di lei e prima che parlasse.
«E tu da dove sei sbucato.» chiese confusa.
«Dalla tua finestra come vedi e se ti sposti solo un po' più in là, entro.» fa in modo che entrasse, mentre la ragazza si sposta involontariamente dalla parte opposta del divanetto.
«Quella frase che hai detto.»
«Si.»
«Sembra di averla già sentita.»
«Peter pan.» gli occhi si incantarono per qualche secondo su quel ragazzo prima che esclamasse irritata:
«Comunque cosa vuoi da me?»
«Ti ho sentito suonare e sei brava, da chi hai imparato?» replica avvicinandosi.
«Da mio padre.» cerca di allontanarsi alzandosi di scatto, attraversando le sedie, fino ad arrivare alla porta, a quel punto il ragazzo si ferma.
«Tuttavia non sono qui per intimorirti, se vogliate Madame io mi congederei.»
«Aspetta, solo una cosa.»
«Dimmi!»
«Come ti chiami?»
«Axel, tu?»
«Dalila.»
«Allora alla prossima Dalila, sono certo che ci rincontreremo molto presto.» Dunque il ragazzo misterioso, Axel si dileguò, scendendo dalla finestra, che si distacca di poco dal giardino. Subito dopo arriva nuovamente James per scusarsi con la signorina e le propose di accompagnarla al suo primo giorno di università.

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