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L'ora di ginnastica. Una volta, anni prima, era la lezione che Jyn preferiva. Adesso invece la detestava: mentre gli altri correvano, facevano sport e si divertivano in campo, lei era costretta a starsene sugli spalti e ripassare qualche altra materia.

Quando avevano dovuto lasciare l'aula per raggiungere la palestra, Jyn aveva notato l'espressione prima incredula e poi curiosa di chi non la conosceva, compresi Peter e Ned. Nessuno aveva notato le stampelle che teneva a terra sotto il banco, tantomeno il tutore che le avvolgeva la gamba sinistra. Perciò quando l'avevano vista deambulare per la sua infermità fisica, le avevano piantato gli occhi addosso.

I suoi compagni di sempre sapevano che non dovevano offrirsi di aiutarla, sapevano che lei lo detestava. Ma i blippati no. E lei si ritrovò per l'ennesima volta a sorridere, ringraziare e rifiutare con riconoscenza. Odiava che la credessero debole, che la sapessero inferma, che provassero compassione e pena per lei.

Era per questo che tutti i giorni ignorava il dolore alla gamba e sorrideva.

Voleva essere Jyn la solare. Non Jyn la storpia.

Chiuse gli occhi e sospirò. Quel mattino non riusciva minimamente a concentrarsi sul libro di testo, il suo sguardo scivolava sempre sul campo e sui ragazzi che giocavano a basket. Aveva un groppo in gola, come tutte le volte che il coach decideva che era la settimana della pallacanestro. Jyn invidiava i maschi che giocavano e provava rabbia verso le ragazze che facevano stretching a bordo campo con la scusa che quello sport "estremo" poteva spezzargli le unghie o farle sudare troppo.

Lei avrebbe dato qualunque cosa per avere la loro opportunità, mentre tutto quello che poteva fare nei giorni in cui provava meno dolore erano gli esercizi che le aveva consigliato il fisioterapista.

«Ehi!» esclamò Mark da centro campo. Fissava Peter con sguardo infuocato. «Quello era un fallo!»

Jyn roteò gli occhi e scosse la testa.

«No che non lo era» rispose Peter con tutta la calma che la situazione permetteva.

«Mi hai praticamente fatto lo sgambetto!» insisté il ragazzone.

L'altro inarcò le sopracciglia per la sorpresa, talmente allibito da non riuscire neanche a ribattere a quell'accusa.

«Coach, glielo dica anche lei!»

Il professor Wilson si massaggiò una tempia. «Non stavo guardando, Mark.»

«Ma...?!»

«Io sì» intervenne Jyn dagli spalti, facendo voltare tutti. «Non era fallo. E il canestro di prima era da due punti, non da tre.»

«Grazie, Jyn» disse l'insegnante con sollievo.

Lei e Mark si scrutarono per qualche istante, finché il coach batté le mani per richiamare l'attenzione e far riprendere la partita.

*

La lezione era terminata e il professor Wilson spedì tutti agli spogliatoi. Dopodiché si avvicinò agli spalti e si sedé affianco a Jyn.

«Come va oggi?» le domandò come tutte le altre volte.

«Bene, grazie» gli rispose come tutte le altre volte. Mentendo come tutte le altre volte.

«Hai preso in considerazione la mia proposta sul corso per arbitri?»

«Prof, anche gli arbitri devono correre sul campo.»

«Lo so. Ma un giorno...»

«Non guarirò mai del tutto» lo precedé. «Servirebbe un'operazione importante e non abbiamo i soldi per farla. In America la sanità va pagata fior fiori di quattrini, coach. Alla faccia del giuramento di Ippocrate!» esclamò mal celando la rabbia.

SPIDER-MAN - My UniverseWhere stories live. Discover now