Capitolo 8

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Il pensiero di Viola continuava a non darmi tregua, anche dopo aver litigato tutta la serata e tutta la mattinata seguente con Alessandra. Ero un fascio teso di nervi e la frustrazione di non poter chiarire con la mia ragazza, che oramai aveva deciso di comunicare con me solo in modo passivo aggressivo, era continuamente accompagnata dal ricordo delle dolci labbra di Viola che avevano toccato il mio collo, la mia bocca. Non riuscivo più ad essere lucido.

"Dimmi almeno dove cazzo eri l’altro giorno, Matteo. Ti ho aspettato per ore."

"Alessandra, te l’ho già detto."

"E con chi, allora. È impossibile che tu sia andato a Milano da solo."

Avevo deciso di rifilarle una mezza verità. Non ero pronto a condividere Viola con nessuno, tantomeno con lei. Era stata un’esperienza meravigliosa anche solo godere della sua compagnia per poche ore e non volevo contaminarla con le parole velenose che le avrebbe riservato la mia ragazza che, in quel momento, continuava a guardami in modo scettico, senza darmi tregua.

"Cazzo, Alessandra. Ti dico che sono andato da solo ed è così. Non capisco perché tu non debba fidarti mai di ciò che ti dico."

Alessandra mi sorpassò come una furia, prendendo la sua borsa e le chiavi del nostro appartamento. Leggevo la tensione e la diffidenza nei suoi occhi, ma cercai di ignorarla. Non avrei ulteriormente peggiorato la situazione solo per scegliere la via della sincerità, anche perché in quel momento non la meritava e io non mi aspettavo comprensione da lei, testarda ed egoista com’era. Avrebbe valutato il mio comportamento come stronzo e avrebbe sicuramente sospettato un mio tradimento che, di fatto, c’era stato. Se non ci avesse interrotti la madre, se fossimo solo stati un minimo più comprensivi l’uno nei confronti dell’altra, sicuramente il risvolto della serata sarebbe stato meno drammatico e molto più appagante. Avevo fatto lo stronzo e me ne dovevo assumere le responsabilità, anche se questo implicava non vederla più. Mi dispiaceva incredibilmente dovermi privare, probabilmente per sempre, di quel dolce sorriso, di quella personalità così estroversa e divertente, anche se al primo incontro, in quel ristorante, mi aveva dato l’impressione di essere una principessa triste.

"Senti bene, Alessandra. Se non vuoi credermi, non farlo. Io devo andare."

"Devi sempre andare. Dove vai, eh? Ti ricordo che ogni volta che ti ho chiesto di accompagnarmi a Milano hai sempre rifiutato inventando scuse su scuse."

Sbattei un pugno sul muro. Ero esausto e divorato dai sensi di colpa, soprattutto nei confronti di Viola. La sua faccia triste e le sue parole ferite mi avevano fatto sentire un uomo piccolo e insignificante, un perfetto idiota che meritava di rimanere solo.

"Si dà il caso che io lavoro, Alessandra. Quando dici che non voglio accompagnarti è perché non posso, visto che devo allenarmi."

"Tutti i giorni, giusto? Oh, vaffanculo, Matteo. Sono stanca. Sono sfinita da tutto questo, devi credermi."

"Anche io, Alessandra. Non riesco più a guardarti negli occhi. Sei diventata davvero pesante e insopportabile. Non ti va mai bene un cazzo di quello che faccio."

"Bene. Rifletti su ciò che hai detto. Io vado a lavoro e non disturbarti ad aspettarmi, dormirò da mia madre."

Sentii sbattere la porta e tirai un sospiro di sollievo. Mancavano poche ore all’inizio dell’allenamento e io mi sentivo già esausto. Sembrava che tutto mi stesse sfuggendo dalle mani e mi sentivo a pezzi. Sebbene il calcio fosse prioritario nella mia vita, avevo sempre riservato più importanza ai miei affetti e nulla avrebbe mai potuto cambiare ciò.
Quando avevo iniziato a giocare con l’Atalanta ero follemente innamorato di Alessandra e avevo trovato il mio equilibrio, la mia vita perfetta: una casa, la donna che amavo, solare e indipendente e tanto talento che poco a poco tutti stavano scoprendo. Ora sembravo solo l’ombra di quel ragazzo che aveva vinto l’Europeo, che aveva gioito e fatto gioire tutti. Ero esausto e sfiancato e Alessandra ne era la causa principale, anche se non l’unica. Cominciavo a trasformarmi in un involucro di paura, ansia e aspettative da non deludere, il tutto coronato da notti insonni causate dalle pressioni che mi riservavo o che mi scaricavano addosso gli altri.
Viola era stata una piccola isola felice dove avevo deciso momentaneamente di sostare perché troppo invitante, troppo bella per essere lasciata lì, sola ed inesplorata, ma anche con lei avevo fatto precipitare tutto. Avevo reso ancora più complicato un rapporto che, prima di tutto, non sarebbe dovuto neanche esistere e che si sarebbe dovuto limitare a puri incontri di cortesia, senza alcuna aspettativa. Invece, avevo preferito cercarla, magari con la speranza che mi desse la carica, che mi aiutasse a ritrovare e riscoprire me stesso. E avevo sbagliato su ogni fronte, perché Viola era così dannatamente bella, dolce e passionale, che mi aveva fatto dimenticare tutto, perfino i miei valori, le mie certezze. Era irresistibile ed io avevo preferito mettere da parte ciò per cui lottavo da mesi, pur di averla con me, di sentirla e di viverla, nonostante fossi consapevole che quella frequentazione sarebbe durata un soffio di fiato. Ne avevo sentito comunque il bisogno e avevo complicato la mia delicata situazione. Il suo rifiuto mi aveva riportato con i piedi per terra, mi ero reso conto che stavo facendo una stronzata con lei. Una bellissima stronzata, ma comunque imperdonabile anche ai miei occhi.

Irresistible  - Matteo PessinaWhere stories live. Discover now