Capitolo 13.

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Ian

«Eccolo il ritorno del figliol prodigo e del suo carnefice.»

Il grado di accoglienza di mio padre è pari alla temperatura della calotta polare, non ce la fa, è più forte di lui, nonostante abbia ottenuto ciò che voleva – a parte la fuga di Mattew – non riesce a mollare la presa per un attimo, a lasciarmi respirare.

«Tranquillo Matt, il carnefice sarei io.»

Entriamo in sala, dopo essermi accertato di aver ben sbattuto la porta d'ingresso, trovando nostro padre in procinto di uscire, di corsa come al solito.

Lo blocco sotto lo stipite della porta e allargo le braccia con fare teatrale.

«Dunque, padre, qual è la mia postazione?»

«Fai poco lo sciocco Ian, qui si lavora seriamente. Mattew ti spiegherà alcune cose e ti affiderà qualche compito semplice per il momento.»

Faccio un inchino semi reverenziale a mio fratello, pronto a prostrarmi ai suoi piedi mentre lui sorride ironico alzando gli occhi al cielo.

«Vi lascio da soli, vado in tribunale.»

Ci saluta con un cenno veloce della mano ma sulla soia della porta si blocca, osserva entrambi e poi continua.

«Tu non fare danni, e tu, quando deciderai di tornare ad abitare sotto questo tetto, fammelo sapere.»

Ovviamente capiamo entrambi a quale tu apparteniamo, così gli volto le spalle ed entro nella stanza in fondo al corridoio, adibita ad ufficio.

E' esattamente come la ricordavo, ci ero entrato diverse volte da ragazzo, alcune anche per lavorare, altre perché era l'unico modo per vedere mio padre, data la quantità di tempo che trascorreva chiuso qui.

Le pareti ancora scure, la libreria a parete, le enormi tende avorio ai lati delle finestre che guardano il giardino sul retro, la poltrona di papà, ora di Mattew, dietro la sua scrivania e un secondo tavolo, più piccolo, dove mi avvicino presumendo sia ora il mio.

Inizio a sistemare le mie cose mentre mio fratello entra e si posiziona infatti in quello libero, poggia piano la sua ventiquattro ore quasi con il timore di farsi sentire, poi sposta la poltrona e si siede di fronte a me.

«Sicuro di volerlo fare?»

Lo chiede cautamente, sapendo benissimo quanta poca scelta abbia, eppure annuisco e lo guardo serio e convinto.

«Dimmi solamente cosa devo fare, prima finiamo, prima posso tornare al mio locale.»

«Non sarai stato mica così pazzo da darlo davvero in gestione a qualcuno, nel frattempo?»

«Ovvio che no! Ho preso una nuova cameriera e chiesto a Sarah, che lavora con me da sempre, di occuparsi di alcune cose gestionali durante la mattina, ma conto di passare ogni sera per tenere sotto controllo la situazione e chiudere i conti.»

Mio fratello si sistema il ciuffo annuendo e appoggiando la mia decisione, è così fiero e pieno di fiducia in me da destabilizzarmi a volte, da farmi credere di essere realmente una persona matura e degna di merito.

Mi piace vedermi come mi vede lui, mi affascina specchiarmi in quel suo sguardo così verde da vederci mischiato quel po' di azzurro che è mio.

«Mi sembra un buon compromesso, bene.»

Si sistema ancora un po' sulla poltrona e si schiarisce la voce, venendo al perché sono qui.

Inizia a spiegarmi quello che sarà il mio lavoro, come si partecipa alle gare di appalto, in che modo si sceglie a chi affidarle, come avvengono le aste e mille altre nozioni che avrò già dimenticato a fine giornata.

Relazioni PericoloseWhere stories live. Discover now